Diagnosi prenatale: un percorso di speranza

Come accompagnare i genitori in caso di patologie fetali? È possibile coniugare scienza e fede davanti al mistero della vita? Ne parliamo col prof. Giuseppe Noia, direttore dell’Unità Operativa Complessa (U.O.C.) Hospice Perinatale al Policlinico Gemelli, fondatore della Onlus "Il cuore in una goccia".

Prof. Noia la diagnosi prenatale è sempre consigliata?
La diagnosi prenatale è una metodica importante che ha accresciuto la consapevolezza dello stato di salute del proprio bambino, ma l’utilizzo che di essa viene fatto, sia non invasiva (ecografia) che invasiva (amniocentesi e villocentesi), è stato completamente deformato dalla cultura dello scarto e dall’idea eugenetica «di vedere per eliminare» e non «di vedere per curare».

Roy A. Filly affermò provocatoriamente che «l’ecografia ostetrica è il modo migliore per terrorizzare una paziente in gravidanza». In questa provocazione c’è una grande verità: l’ecografia ci permette, oggi, di identificare anomalie congenite strutturali del feto e ciò è sicuramente un dato positivo; tuttavia il criterio che accompagna la comunicazione della diagnosi è un fattore di estrema delicatezza, perché invia due diversi messaggi che possono essere recepiti dalla coppia: il primo assume le vesti di una «sentenza», il secondo lascia la porta aperta alla «speranza».

Giuseppe Noia
Giuseppe Noia

Quindi sul piano dell’esperienza decisionale di quella coppia il modo di presentare la diagnosi durante la consulenza è fondamentale per il destino futuro del bambino in utero. E questo vale anche per le tecniche di diagnosi prenatale invasive, per la diagnosi delle anomalie genetiche.

Cosa fare, allora?
Alla consulenza di carattere medico-scientifico occorre affiancare un approccio fondato sull’accoglienza da parte di altre famiglie che, accompagnando la famiglia con diagnosi patologica fetale attuale, offrano empatia, ascolto, dialogo verbale e non, finalizzato a tranquillizzare la coppia in un percorso condiviso dove non sono soli, affinché le scelte connesse alla condizione del bambino possano essere ponderate adeguatamente.

Tale approccio risulta tanto più forte quanto più si accompagna alla proposta di scenari alternativi all’aborto, poiché in questi casi la decisione di un aborto volontario distrugge completamente la progettualità genitoriale della coppia, oltre che la vita del figlio. Non bisogna infatti dimenticare che, qualunque sia la condizione malformativa, il «figlio» rimane tale e questa condizione non può essere né cambiata, né cancellata: «non si elimina la sofferenza eliminando il sofferente». È, dunque, in questo secondo aspetto della consulenza, focalizzato interamente sulla relazione medico-paziente, sulle capacità comunicative e relazionali del medico e sull’affiancamento delle altre famiglie che si realizza quel passaggio dalla diagnosi come «sentenza», alla diagnosi come «speranza».

fondazione-il-cuore-in-una-gocciaCome coniuga, nel suo lavoro, il rapporto tra scienza e fede davanti al mistero della sofferenza?
Nella diagnosi prenatale tutto quello che abbiamo scritto (la sofferenza di una famiglia dinanzi a una ecografia con grave patologia fetale), si traduce nell’imprevisto che la stessa si trova ad affrontare quando c’è una diagnosi patologica: si materializza un deserto di mancanze esterne e interne al loro cuore, un ritornello a più voci, come una corale della morte, che sussurra e poi grida: «Aborto, aborto, aborto». In molti casi le figure mediche proiettano un futuro relazionale negativo sulla base di conoscenze scientificamente superate, instillando e ingigantendo nella coppia la paura della sofferenza futura psichica e fisica del bambino. Vengono proiettate situazioni in un futuro di tristezza e negatività in una società discriminante. Oppure si ha un vero e proprio abbandono terapeutico quando la coppia, informata della gravità della patologia del proprio bambino, decide comunque di andare avanti e di accompagnarlo sin quando Dio vorrà.

Ci sono possibilità di cure prenatali in feti con gravi patologie?
A questa domanda si può rispondere: certamente si! Le tecniche d’avanguardia che permettono di curare, fare analgesia, migliorare le condizioni dei bambini affetti da patologie prenatali, con interventi effettuati prima ancora della nascita, sono una risposta importante alle paure e alle mistificazioni scientifiche della cultura della morte. Ovviamente, ogni percorso diagnostico e terapeutico può comprendere anche trattamenti palliativi prenatali al feto nell’accezione di trattarlo come un paziente a tutti gli effetti.

neonato

Nel lavoro dell’Hospice la caratteristica fondante è il lavoro interdisciplinare tra i vari specialisti e le varie competenze che si trovano all’interno del gruppo Hospice. È un lavoro di affiancamento che insieme all’accompagnamento delle famiglie de Il Cuore in una Goccia rappresenta il nucleo centrale dell’attività clinica e testimoniale dell’Hospice Perinatale – Centro per le Cure Palliative Prenatali «Santa Madre Teresa di Calcutta» del Policlinico Gemelli di Roma.

Che finalità ha questo lavoro?
L’obiettivo di tutto questo impegno è quello di attuare il passaggio dall’informazione alla conoscenza, in modo da affrontare il problema delle diagnosi prenatali patologiche negli aspetti della prevenzione, della diagnosi, dell’accoglienza, delle cure prenatali, delle cure palliative e di supporti di tipo psicologico e psicoterapeutico per operatori sanitari e per famiglie che impattano con questa problematica prenatale.

Tuttavia, è necessario un percorso formativo, per tutti coloro che intendono svolgere un servizio orientato alla tutela e difesa della vita nascente, seguendo quell’iter operativo già delineato dal Cuore in una Goccia. Affiancare le famiglie con fragilità prenatali operando una sinergia tra scienza, famiglia e fede rappresenta il modo più umano per condividere tutte quelle condizioni di sofferenza personale e familiare che caratterizzano le diagnosi prenatali di gravi patologie fetali e relegano quelle vite nel mondo della cultura dello scarto. Così facendo si realizza il grande monito e desiderio di S. Giovanni Paolo II: «La fede e la scienza sono le due ali che fanno volare l’uomo».

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