I detenuti sono persone, non numeri

Mauro Palma, garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, nella sua relazione al presidente della Repubblica Mattarella ha denunciato, tra le altre cose, il sovraffollamento delle carceri e il rischio che si stia accentuando un senso di insicurezza, non supportato dai dati, che può portare a ridurre i margini di libertà, particolarmente per i potenziali aggressori.

Cinque verbi per declinare i luoghi della privazione della libertà: detenere, rinviare, avere cura, arrestare, tutelare. Una parola chiave: “soggettività”, che rivela il bisogno dei detenuti di essere riconosciuti come individui e non come numeri. Un percorso tra luci e ombre, osservazioni, analisi e contraddizioni sulla situazione di tante persone nel nostro Paese: così si presenta la Relazione al Parlamento 2019 esposta da Mauro Palma, garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.

L’autorità di garanzia – istituita nel 2014 e operativa dal 2016 – nel 2018 ha visitato cento luoghi tra «istituti di pena per adulti o minori, Rems, camere di sicurezza delle diverse Forze di polizia, servizi psichiatrici di diagnosi e cura dove si effettuano i trattamenti sanitari obbligatori, strutture residenziali per persone non autosufficienti, centri di trattenimento per i migranti irregolari, hotspot e anche una nave. Ha inoltre monitorato trentaquattro voli di rimpatrio forzato, principalmente diretti in Tunisia, Nigeria ed Egitto», si legge in una nota. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, sono state presentate riflessioni e criticità rilevate nel corso dell’anno.

Si parte dai dati. Al 26 marzo 2019, su 46.904 posti regolamentari disponibili nei 191 istituti di pena, erano presenti 60.512 persone, ovvero 13.608 detenuti in più. Il sovraffollamento nelle carceri è reale, tuttavia si deve osservare che, mentre nell’ultimo anno la popolazione dei detenuti è cresciuta di 2047 unità, il numero di coloro che sono entrati in carcere è diminuito di 887 unità. L’aumento è quindi dovuto a una minore possibilità di uscita. Tra le motivazioni, la debolezza sociale delle persone detenute che impedisce loro di accedere a misure alternative alla detenzione; una diminuita convinzione dell’importanza di costruire percorsi di reinserimento attraverso il graduale accesso alle misure alternative; l’esiguità dei numeri del personale.

Accanto ai dati, il garante evidenzia il fattore della percezione di insicurezza personale, recentemente forse anche enfatizzato, che è in contraddizione con la diminuzione del numero di reati quali gli omicidi negli ultimi anni. Secondo Palma c’è il rischio che si stia accentuando un senso di insicurezza, non supportato dai dati, che arrivi a ridurre i margini di libertà, particolarmente per coloro che sono percepiti come potenziali aggressori.

È necessaria, inoltre, una “costruzione positiva di una cultura dei diritti”, che oggi soprattutto ha bisogno di un linguaggio adeguato al dolore. «La sofferenza – sottolinea il garante – sia essa la risultante di proprie azioni anche criminose, del proprio desiderio di una vita diversa e, altrove, della propria vulnerabilità soggettiva, merita sempre riconoscimento e rispetto», soprattutto da parte di coloro che svolgono un compito istituzionale. Il linguaggio, infatti, è «il costruttore di culture diffuse e l’espandersi di un linguaggio aggressivo e a volte di odio costruisce culture di inimicizia che ledono la connessione sociale e che, una volta affermate, è ben difficile poi rimuovere».

Carceri
Tra gli altri aspetti problematici, quelli relativi alla presenza negli Istituti di persone con disagio mentale o psichico, il tema della specialità detentiva di coloro che sono in custodia cautelare o in esecuzione di pena sotto il regime previsto dall’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario, le madri in carcere con i figli.

Un capitolo della Relazione è dedicato al «difficile anno trascorso nell’affrontare i processi migratori verso l’Europa e il coinvolgimento diretto o indiretto che i minori hanno in tali contesti». Nel 2018 il numero dei minori non accompagnati giunti in Italia si è ridotto, in linea con la diminuzione del numero di migranti sbarcati. Tuttavia si tratta di 3.536 minori, di cui 2002 risultano passati per gli hotspot. In questi casi emergono due elementi di criticità: l’accertamento dell’età che, in linea generale, è stabilita con il tradizionale metodo dell’indagine radiografica e non seguendo la procedura più completa prevista dalla legge 7 aprile 2017 n. 47; l’annotazione della data di nascita al 1° gennaio dell’anno, nei casi in cui non sia possibile precisare il mese e il giorno. Prassi frettolose che rischiano di ridurre la garanzia di tutela dei minori. 

Nel corso dell’anno, inoltre, per i migranti arrivati in Italia è stata prolungata la permanenza in luoghi di privazione della libertà fino a sei mesi. Non si è data attuazione al decreto legge del 2017, che prevede la realizzazione di Centri di dimensione contenuta.

Delle poco più di quattromila persone passate nei Centri, solo il 43% è stato rimpatriato: un valore che è rimasto pressoché invariato nel corso degli anni, mentre la durata massima della permanenza nei Centri oscillava tra i trenta giorni e i diciotto mesi. «Prova questa della mancata correlazione tra durata della privazione della libertà ed effettività della sua finalità», dice Palma e bisogna chiedersi «quale sia il fondamento etico-politico di tale restrizione e quanto l’estensione della durata non abbia la finalità di disincentivante potenziali partenze».

Non è possibile, dichiara il garante, “guardare positivamente la riduzione della pressione sul nostro Paese della migrazione verso il continente europeo senza rivolgere lo stesso sguardo al numero di morti in quel mare che un tempo era nostrum, in quanto condiviso da entrambe le sponde e che ora si è tramutato in un muro. E continuando a illuderci di non sapere – noi tutti come Europa – quali siano le condizioni sofferte dalle persone che affrontano il mare nel Paese da cui molti partono, dopo aver compiuto un percorso denso di stenti e di ricatti».

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