Denatalità e paura da invasione

Assieme al declino demografico del nostro Paese si avverte la crescita progressiva del continente africano. Alcuni dati e analisi per capire, senza alimentare complotti da sostituzione etnica. Intervista a Giampiero Dalla Zuanna, professore ordinario di demografia presso l’Università di Padova
AP Photo/Ben Curtis

Se l’Italia raggiunge le vette della denatalità in Europa, il problema che incombe è la paura, fomentata da certa propaganda, dell’invasione dell’immigrazione africana. Non tanto dei numeri attuali ma da qui a qualche anno. Il continente nero, infatti, si presume che avrà da qui al 2050 un balzo di un miliardo e 200 milioni di abitanti. Nell’inchiesta del numero di marzo di Città Nuova abbiamo affrontato ance questo tema che riprendiamo nell’intervista a Giampiero Dalla Zuanna,  professore ordinario di Demografia presso il Dipartimento di scienze statistiche dell’Università degli studi di Padova.

La forte crescita demografica del continente africano, prevalentemente di età giovanile, non condurrà inevitabilmente ad una pressione verso l’Europa? Tra il 2015 e il 2050 la popolazione africana raddoppierebbe da 1,2 a 2,5 miliardi…
Tassi di crescita del genere si son registrati in India a partire dal 1950, ma non c’è stata alcun esodo di massa da un enorme Paese dove restano sacche di miseria accanto alla nascita di gruppi industriali in grado di comprare il controllo delle nostre acciaierie. L’Africa è stato fino agli anni 50 un continente drammaticamente sottopopolato, per effetto del traffico degli schiavi, miserie e guerre intestine.   La Repubblica Centraficana, per esempio, è grande il doppio dell’Italia e ha solo 6 milioni di abitanti. L’Africa ha ampi margini per contenere un incremento di popolazione come quella prevista dall’Onu. Bisogna pensare alle previsioni errate del Club di Roma sulla bomba demografica che avrebbe portato ad una insostenibilità della vita sulla Terra per la fine del secolo scorso.  La disponibilità di cibo è cresciuta più della popolazione. Bisogna liberarsi da ogni pregiudizio maltusiano. Dall’India all’Asia fino a certi paesi africani, come il Sud Africa, si avverte la decrescita del tasso di fecondità al progredire dell’istruzione. Ad Adis Abeba abbiamo meno di 2 figli per donna in città e 5 in campagna, come in Veneto negli anni 20.

Ma ciò non è l’effetto di politiche antinataliste e contraccettive sostenute da alcune agenzie dell’Onu?
Ci sono stati interventi brutali che si sono rivelati controproducenti, ma la crescita dei servizi sanitari in generale ha stabilizzato le nascite facendo diminuire la mortalità infantile. Quello che incide sul tasso di fecondità è l’istruzione e il benessere economico. In Algeria come altri Paesi del Nord Africa si è passati in 20 anni da 5 figli a donna a meno di 2. La Tunisia ha tassi inferiori alla Francia. In Iran la fecondità è più bassa che in Alto Adige. Conta l’aspettativa di benessere per un figlio.

Eppure è proprio non sono i poverissimi muoversi, non è l’istruzione stessa ad essere di stimolo all’emigrazione?
La pressione ci sarà. Molta migrazione resta, tuttavia, interna al continente africano. Sono pochi che rischiano la vita pur di andar via. Ma è chiaro che c’è bisogno di un flusso controllato anche perché esistono in Europa spazi per trasferimenti legati alle esigenze della produzione (altrimenti si introducono leggi sul lavoro come quelle adottate in Ungheria per soddisfare le esigenze delle aziende tedesche).

Il futuro dell’Europa sarà comunque meticcio?
Più che di meticciato parlerei di assimilazione progressiva. L’emigrazione è essenzialmente selezione. La gente che emigra ha la propensione al cambiamento. È diversa da quella che non si muove da casa. Esiste un forte processo di assimilazione, a partire dai consumi, nella cultura di arrivo. È impressionante la rapidità con cui i bambini stranieri prendono gli stessi sogni dei loro coetanei italiani. Alcuni parlano di progressiva occidentalizzazione, piuttosto che di meticciato, ma certo bisogna stare attenti a non creare ghetti o enclave etniche come quelle createsi in Belgio. Da noi ce ne sono pochissimi, probabilmente perché la gente è in gran parte proprietaria delle case e non si sposta facilmente.  Bisogna essere vigilanti perché ad esempio come vedo a Padova, gli asili pubblici sono popolati da bambini di famiglie emigrate perché gli italiani preferiscono andare da quelli privati. È facile in tal modo creare delle separazioni, mentre va,invece, sostenuto il mescolamento a cominciare dalla scuola.

qui una prima parte dell’intervista sulle risposte possibili al declino demografico

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