Default tecnico argentino, non chiamatelo bancarotta

La sentenza di un giudice di New York impedisce all'Argentina di adempiere ai suoi obblighi internazionali, favorendo la causa dei fondi speculativi che pretendono condizioni migliori del 93 per cento dei creditori che, a suo tempo, hanno aderito alla ristrutturazione del debito sovrano
Default tecnico in Argentina

Parlare di bancarotta in un caso come quello argentino è veramente inappropriato. Siamo infatti di fronte a un caso di "default selettivo". Non si tratta, cioè, di un debitore che non è in grado di pagare, ma di una mancanza di pagamento di una determinata quota del debito, 539 milioni di dollari, che per giunta il governo di Buenos Aires aveva provveduto a depositare a suo tempo, come sta facendo puntualmente da anni. Va poi ricordato che l'Argentina ha da poco concordato col Club di Parigi il pagamento di circa dieci miliardi di dollari, cosa che ha già iniziato a fare con puntualità. Il debitore ha tutta la buona volontà di adempiere ai suoi obblighi. Tanto è vero che la parte del suo debito pubblico sotto l'egida del diritto argentino, oppure in moneta nazionale, sarà onorata come sempre. Siamo dunque ben lontani dalla bancarotta.

Purtroppo, la gestione di una parte sostanziale dei debiti sovrani argentini avviene sotto la legge dello Stato di New York la cui giustizia, rappresentata dal giudice Thomas Griesa, con una polemica quanto criticata sentenza ha impedito ottemperare all'obbligazione di pagamento.

Cosa si è giunti a questa situazione? L'Argentina si dichiarò in default nel 2001, e quella sì fu una bancarotta. Dopodiché propose, come altri Paesi, varie città e Stati degli Usa, una ristrutturazione del proprio debito. Ciò avvenne nel 2005 e nel 2010. Si applicarono tagli superiori al 60 per centro del valore nominale, ma era quanto il Paese era in condizione di pagare dopo la bufera economica che lo aveva sconvolto.

Alla proposta aderirono più del 93 per cento dei suoi creditori. Ne restarono fuori coloro che si rifiutarono di accettare tagli ai loro titoli, i cosiddetti holdouts. Questi titoli, ovviamente, persero progressivamente valore nel mercato, anche perché l'Argentina dispose per legge che coloro che non avrebbero aderito alla ristrutturazione non avrebbero potuto ottenere pagamenti, anche per un criterio di giustizia con chi, invece, l'aveva accettata.

Nel frattempo, però, avvennero due fatti importanti: prima di tutto entità specializzate nella speculazione finanziera, come NML Capital, sostenute da stuoli di avvocati esperti nel tema, si dedicarono a comprare per poche monete gli holdouts, dopodiché la poderoso lobby finanziaria statunitense ottenne la rimozione della normativa dello Stato di New York, che impediva precisamente questo tipo di operazioni a fine speculativo. Successivamente, presentarono presso il giudice Griesa la loro causa, che venne accolta favorevolmente. Il giudice ha obbligato l'Argentina a pagare il cento per cento del valore nominale degli holdouts della causa (1,5 miliardi di dollari), ordinando alle banche di non accettare i depositi del governo argentino per i pagamenti regolari del debito ristrutturato, fino a che non venisse ottemperata la sua sentenza.

Il governo sudamericano si è così trovato nella concreta impossibilità di adempiere al pagamento, prima di tutto perché in tal caso si sarebbero aggiunti il resto degli holdouts, moltiplicando per 10 il miliardo e mezzo di dollari da pagare. Cosa ancor più grave, sarebbe poi scattata immediatamente la clausola che la obbliga ad offrire a tutti ogni miglioria delle condizioni di pagamento, dunque anche a coloro che avendo accettato i tagli ai propri titoli, con ragione avrebbero potuto reclamare il pagamento integrale mandando in malora le due ristrutturazioni e, a questo punto, moltiplicando in modo esponenziale il totale del debito sovrano argentino.

Quale sia il livello di avidità dei fondi speculativi, non a caso denominati "fondi avvoltoi", lo indica il rifiuto dell'offerta argentina di accettare le condizioni della ristrutturazione, che, attualmente, considerando la spesa iniziale, avrebbe permesso loro di ricavarci il trecento per cento.

A tale situazione, va riconosciuta la originale capacità del governo argentino di peggiorare le situazioni difficili, prima di tutto gestendo in modo improvvisato e senza perizia l'intera situazione, minimizzando l'indipendenza dei giudici statunitensi, avendo generato in questi anni la sfiducia internazionale nei propri confronti con modifiche ai numeri macroeconomici, oltre che con gesti e parole poco fortunate nei confronti delle istituzioni multilaterali di credito (che non è che non le meritassero, ma la diplomazia è regina in politica). Parole che successivamente la presidente Cristina Fernández de Kirchner ha dovuto rimangiarsi quando, passato il periodo delle vacche grasse, il Paese si è visto a corto di moneta forte e non ha trovato sul mercato chi fosse disposto a concedere prestiti a interessi ragionevoli.

Sotto questo punto di vista, la situazione non è gravissima, dato che l'Argentina era già fuori dal mercato di capitali da anni. Semmai il problema è che si allungano i tempi per ritornarvici e ottenere fiducia.

Ma va anche detto che la sentenza del giudice Griesa è stata criticata da esperti attraverso vari media internazionali e statunitensi, come il New York Times. Ed è infatti peculiare che il giudice decida annullare con la sua decisone la ristrutturazione di un debito sovrano, stabilendo così un pericoloso precedente in casi del genere futuri, mettendo con le spalle al muro un Paese con una sentenza quasi di impossibile adempimento, tra l'altro contravvenendo a un principio rimosso ad hoc. Come si vede non solo l'Italia è specialista nelle leggi ad personam. Ne sarà ben contento Paulo Singer, titolare di NML Capital e principale promotore dell'iniziativa giudiziaria, specialista in questo tipo di operazioni.

Ne dovrebbe risultare preoccupata la comunità internazionale, perché appare chiara la forza della finanza speculativa avida di guadagni stratosferici, non importa a quale prezzo, forte del potere che le concedono miliardi accumulati grazie allo smantellamento di ogni limite giuridico. Ma è di fronte a questo potere che, purtroppo, la politica internazionale diventa molto, ma molto timida. Basta vedere quello che succede in Europa.

(Nella foto Ap, una protesta della popolazione che espone cartelli con su scritto: Patria o avvoltosi, forza presidente Cristina Fernandez de Kirchner)

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