Dedicato a Milet

La morte della ragazza di 16 anni travolta da un tir nella galleria tra Italia e Francia è un'ulteriore occasione per continuare a riflettere sulla nostra società multiculturale
Ventimiglia

Addio Milet Tesfamariam. Addio vispa ragazzina che t’aprivi alle speranze e alle sorprese della vita. Che sognavi grandi traguardi, albe felici, fuori dalla miseria del tuo popolo. Si certamente a 16 anni hai sognato, nonostante tutto. E ne avevi tutto il diritto. Nonostante le fatiche della tua terra, hai sognato un mondo più bello, almeno più vivibile. Più umano. Hai attraversato il mare, sei sbarcata esausta sulla terra ferma e magari qualcuno ti avrà gridato: «Devi tornare a casa». E tu in silenzio rispondevi: «Ne avessi una, sarei rimasta. Nemmeno gli assassini ci rivogliono. Rimetteteci sopra la barca, scacciateci da uomini, non siamo bagagli da spedire e tu nord non sei degno di te stesso. La nostra terra inghiottita non esiste sotto i piedi, nostra patria è una barca, un guscio aperto».

 

Milet eri giunta a Ventimiglia desiderosa di attraversare la frontiera di andare in Francia e poi magari di proseguire ancora. Chissà. Forse il nostro sguardo si sarà incrociato. Forse i miei occhi avranno incontrato i tuoi, nella città di confine. Magari sarai stata ospitata presso qualche struttura. Poi hai deciso di tentare non la fuga, ma la fortuna. Di cercare qualcosa di meglio. Non volevi essere prigioniera qui da noi, alla tua età devi vivere libera. E così ti sei messa in viaggio verso la Francia con altri quattro fratelli. E nella galleria tra l’Italia e la Francia un Tir ti ha uccisa. Nella chiesa di Sant'Antonio alle Gianchette a Ventimiglia celebreremo il tuo funerale e poi resterai qui da noi per sempre, così ha deciso la tua famiglia.

 

Milet avremmo preferito averti in Italia viva, vederti giocare, ascoltare le tue canzoni, osservarti sorridere alla vita che scoprivi diversa da quella che avevi vissuta prima. Invece andremo a trovarti con un fiore là dove resterai per sempre. Andremo a trovarti quando avremo dubbi e timori che il sud del mondo ci invada, ci porti via lavoro, alloggio. Andremo a trovarti si, ogni volta che non riusciremo, per egoismo, per puro egoismo a pensare che il mondo è una patria unica, sennò saremo tutti immigrati. Saremo tutti degli emigranti, anche quelli che abitano a casa loro diventeranno degli emigranti.

 

La tua morte ci rende tutti un po’ più tristi. E come scriveva qualcuno: «Il da farsi urgente secondo me è quello di moltiplicare le forme di affetto, di fraternità, di solidarietà con il mondo remoto, che è remoto in quanto a sua residenza ufficiale, ma molto vicino perché viene a stare, ad abitare tra noi, e non solamente con i permessi di soggiorno ma a ondate, come dispiace a qualcuno, arriva a ondate, e queste ondate non possono essere smaltite con barricate. Non possono essere ributtate indietro. Non si possono buttare, affondare nel canale». Ciao Millet   grazie della tua vita.

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