Ddl Zan o della mancanza di vero dialogo

Ddl Zan: vince la linea della Lega che rimanda la discussione del testo in Senato. Le polemiche sul voto segreto rimandano alle strategie sul Quirinale, ma il vero nodo è la spaccatura che si può generare senza senso nella società civile.
DDL ZAN in Senato Foto Roberto Monaldo / LaPresse

La politica italiana si spacca sul Ddl Zan, visto che sui temi economici che contano la linea del governissimo di Mario Draghi non sembra trovare grandi dissensi da parte dei suoi componenti.

Cosa è successo al Senato mercoledì 27 ottobre 2021? L’assemblea ha votato a favore della proposta avanzata dalla Lega di rinviare in commissione l’esame del disegno di legge sul contrasto all’omofobia, rinviando così i tempi per la sua eventuale approvazione a marzo 2022.

La strategia del partito di Salvini è dettata dall’ex ministro Roberto Calderoli che, pur essendo specializzato in odontoiatria, si è rivelato un vero esperto su regole e meccanismi parlamentari. In particolare, la proposta, accolta dalla presidente del Senato Casellati, di procedere con il voto segreto, ha reso evidente il dissenso interno al centrosinistra sulla linea di Enrico Letta che puntava a far approvare il testo da una maggioranza di centro sinistra che credeva consolidata con l’aggiunta dei 5 Stelle. Così non è stato alla prova dei numeri, anche perché ogni proposta di mediazione è fallita davanti alla scelta prevalente del muro contro muro.

Una lettura rudimentale dei fatti, quella veicolata da noti influencer sui social, porterebbe a dire che è stata una sconfitta di una legge di civiltà da parte di forze omofobe con l’aggiunta di franchi tiratori nascosti nell’anonimato del voto segreto.

Salvini, invece, ha potuto segnare un punto a suo favore, dopo la sconfitta elettorale nei comuni, mostrandosi disposto a trovare una soluzione davanti a dubbi ragionevoli, avanzati da fonti autorevoli, sulla formulazione del Ddl che si presta ad interpretazioni arbitrarie che nulla hanno a che vedere con il contrasto alla discriminazione e alla violenza fondati sul sesso e sull’orientamento sessuale. Su questi principi ormai il consenso è quasi totale, da destra a sinistra.

Ad essere contestato, ad esempio, è il concetto in base al quale «per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione». Per l’esame dei punti contestati si rimanda agli approfondimenti pubblicati su cittanuova.it.

Sono questioni controverse che diventano ancora più problematiche quando se ne affida l’applicazione in sede penale all’interpretazione dei giudici.

La Lega si è confermata un attore politico affidabile per tutta quell’area che si riconosce nelle posizioni del professore Massimo Gandolfini e dell’associazione “Difendiamo i nostri figli” che denunciano da sempre il tentativo di usare alcuni concetti dell’universo del “politicamente corretto” per colpire le fondamenta antropologiche della famiglia.

Il  direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, commentando il voto del Senato ha affermato che è meglio nessuna legge piuttosto di una sbagliata, ma che è «politicamente e civilmente assurdo e autolesionista forzare per incasellarci tutti in questa scatola di ferro spaccata a metà», tra «odiatori e menatori seriali e ideologi dell’indifferenza (umana, morale e sessuale)».  L’Italia non è così.

La stessa Cei, editrice di Avvenire, ha cercato di accompagnare il dibattito della società italiana con interventi aperti al dialogo e alla necessità di rimediare ad ogni discriminazione verso chiunque, con toni e strategie molto diverse dai tempi di Ruini.

Ovviamente questo approccio non ha impedito di sentire accuse contro l’indebita ingerenza clericale verso le leggi civili del nostro Paese. Soprattutto dopo che è stata resa nota una presa di posizione diplomatica vaticana circa la libertà di insegnamento delle scuole cattoliche messa in pericolo dall’entrata in vigore della futura legge Zan.

Il discorso deve allora essere molto chiaro nel ribadire che il confronto democratico è basato non sulle convinzioni confessionali, ma su valori condivisi e condivisibili secondo Costituzione. I dubbi e i dissensi sul Ddl Zan sono trasversali a più posizioni culturali, comprese realtà del mondo femminista.

In tale contesto il Pd di Letta, che punta a rinnovare l’esperienza dell’Ulivo, e la sinistra nel suo insieme sono chiamati a prendere posizione circa la legittimità della presenza al loro interno di una visione personalistica alternativa al cosiddetto “partito radicale di massa”, descritto a suo tempo dal filosofo Augusto Del Noce.

D’altra parte il riferimento alle posizioni del variegato mondo Lgbtq si trovano sia a destra che a sinistra, costringendo quest’ultima a definire i tratti distintivi e univoci della sua identità politica.

Volando molto meno basso di tali questioni, il voto al Senato sul Ddl Zan ha permesso a Italia Viva di mettere in difficoltà il Partito democratico da cui proviene e tende sempre più a distinguersi, come dimostra il tentativo in corso di formare un’alleanza con Forza Italia in Sicilia.

Il mancato controllo dei parlamentari del Pd nel voto segreto rappresenta un punto di forza da far valere da parte di Renzi in vista del voto per l’elezione del prossimo presidente della Repubblica. Ovviamente nel caso in cui non si presenti Mario Draghi dopo essersi assicurato di poter lasciare il bastone di comando del governissimo al suo fidato ministro dell’economia Daniele Franco.

C’è da dire, come fatto di cronaca, che il socialista Riccardo Nencini,  senatore di Italia Viva, ha votato a favore della discussione in aula del Ddl Zan, mentre il senatore Matteo Renzi non ha votato perché impegnato nella sua attività di consulenza con l’Arabia Saudita di Moḥammad bin Salmān. Come a dare conferma che, dopo tante polemiche sui diritti umani, la politica italiana pensa ad altro.

 

 

 

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