Dall’Iraq alla periferia di Roma, storia di Firas A Kidher

Attraversa tre guerre, subisce due attentati, sopravvive a due incidenti stradali. Porta nel suo corpo le ferite del suo Paese, l’Iraq, che il papa visiterà dal 5 all’8 marzo. Firas A Khider, oggi è un religioso rogazionista, si chiama padre Gabriele ed è vice parroco in una periferia romana.

La storia del suo Paese, l’Iraq, come fosse scolpita nella pelle di Firas A Khider. Se si disegnassero dei tatuaggi prenderebbero forma sul suo corpo due attentati subiti, tre guerre attraversate, due incidenti gravissimi che lascerebbero dei segni indelebili sulla sua carne molto più in profondità delle incisioni sedimentate dei pigmenti colorati usati dai tatuatori. Firas A Kidher è nato a Baghdad 43 anni fa, secondogenito di otto tra fratelli e sorelle. La prima cenere di guerra che invade i suoi polmoni è frutto della polvere dei bombardamenti dell’Iran contro l’Iraq. Anno 1982. Bagdad trema sotto le bombe. Suo padre è in prima linea, la madre con i figli piccoli scappa a Qaraqosh, una città assira nel Nord del Paese. «Contrasti è la parola chiave di quegli anni – racconta al telefono Firas A Kidher – perché da un lato ero un bambino molto attivo, capriccioso, vivace, dall’altro dovevo stare rinchiuso, fermo, bloccato dentro i rifugi antiaerei».

Ricordi affiorano nella sua mente anche della prima guerra del Golfo che oppose, tra il 1990 e il 1991, l’Iraq ad una coalizione composta da 35 Stati alleati. «Miseria nera, senza acqua, energia elettrica, le finestre sempre serrate anche di giorno e un diffuso senso di paura del presente e del domani. L’angoscia dell’ignoto». A bombardare la sua città sono gli italiani e gli statunitensi. Non si ha nessun scrupolo per la popolazione civile e l’esercito iracheno nasconde le sue armi tra le case, nelle scuole, negli ospedali. Luoghi considerati sicuri. «Provate a immaginare che paura costante di venire bombardati». Terrore puro.

La terza guerra ha il sapore di una fresca bevanda al cocco dei Caraibi, sa di liberazione, di freschezza per la libertà di nuovo assaporata. Anno 2003. È la caduta di un dittatore. Veloce, fulminea e la statua di Saddam Hussein è già in frantumi a terra come il suo lungo regime. «Senza quasi accorgersene abbiamo trovato i carri armanti nelle strade. Eravamo felici ma in un attimo tutto è cambiato». La fresca bevanda al cocco presto prese un retrogusto amaro. «La gente rubava tutto a tutti». Rotti tutti i freni inibitori del regime, si scatena l’anarchia, i saccheggi e le furfanterie sono all’ordine del giorno. «Inoltre tutto brucia: biblioteche, case, negozi». È il caos che sempre si genera quando oltre alla parte destruens, l’abbattimento di una dittatura, non si pianifica la parte costruens, una piano di ricostruzione civile, sociale e politico. È accaduto in Iraq, si è ripetuto in Libia, dove da anni molteplici tribù si contendono i loro interessi particolari a danno dei loro Paesi.

Fino agli attentati. Due nello stesso giorno. Anno 2014. Firas A Kidher è già da anni un religioso rogazionista e vive a Roma, ma deve rientrare in Iraq per il rinnovo dei documenti a Mosul. Siamo nell’era del Califfato dell’Isis. Padre Firas, ora padre Gabriele, non ha paura di continuare ad indossare la sua tunica da religioso anche se gli viene chiesto di toglierla, è conosciuto anche nel suo Paese di origine perché è attivo sui social e scrive i suoi messaggi in più lingue. È riconosciuto, notato, seguito, anche dagli avversari estremisti islamici. Quel giorno con un autista è in viaggio verso Mosul. Al loro passaggio un’ autobomba esplode al lato della strada. Solo la prontezza e la destrezza dell’autista che cambia subito direzione evita che l’impatto sia mortale. L’attentato è fallito e cambiano meta. Scappano verso il Kurdistan, ma i terroristi dell’Isis devono finire il lavoro. Una macchina cerca di impattarli in modo frontale e partono colpi di armi da fuoco. L’autista devia fuori strada. La salvezza ha l’orizzonte sterminato di un campo di orzo, attraversato a tutta velocità, dove non sono più raggiungibili.

Una vita difficile ma Firas non interrompe gli studi e si laurea in Biologia genetica (1999). Un incidente stradale del 1985 è decisivo per capire il senso della vita. È investito da un camion pesante 16 tonnellate mentre attraversa la strada. Entra in coma per 13 giorni. Si risveglia, subisce 24 operazioni (16 in Iraq e il resto in Italia) e porta segni indelebili sulla sua gamba martoriata. Dopo una ennesima crisi di salute, trascorre 7 mesi a letto e chiede l’Unzione degli infermi. Si chiede: «Ma qual è il senso della vita?». Ha condiviso la sofferenza del suo popolo, si è trovato nel mezzo delle vicende del suo Paese. È scampato a due incidenti stradali, uno quando aveva tre anni, tutto ciò che gli è accaduto «è forse un segno che Dio mi chiama per alleviare la sofferenza degli altri?». Era nel Giubileo del 2000. Lo attira la spiritualità dei rogazionisti, il carisma di padre Annibale Maria Di Francia, la preghiera e la cura del fratello malato. Ci crede. «Posso dare il mio contributo».

Padre Gabriele (Firas A Khider) con papa Francesco e i suoi genitori il giorno della sua ordinazione.

Nel 2004 è ad Assisi per tutta la trafila di discernimento, noviziato, diaconato, studi a Roma di filosofia e teologia alla Pontificia Università del Laterano e la specializzazione in Formazione presso il Claretianum. Gli viene l’idea di scrivere la sua storia al papa. Qualche tempo dopo Firas A Kidher chiama i suoi genitori. Gli chiede di venire a Roma per la sua Ordinazione Sacerdotale. Nel frattempo, suo padre dopo che è finita la guerra contro l’Iran nel 1988, ha lavorato come vigile del fuoco, è andato in pensione, ma durante la fuga dall’Isis ha avuto un ictus, quindi non cammina più, vive in una sedia a rotelle. È stanco del lungo viaggio, che comprendeva anche una tappa intermedia in Libano. «Perché mi hai fatto venire fin qui? Non potevi fare come tutti l’ordinazione con il tuo vescovo nel tuo Paese?». «Ma il mio vescovo è il papa?». «Posso fare una fotografia con lui?» – è la risposta del padre – per un viaggio che ne valeva la pena. Un grande dono, inaspettato per tutta la famiglia. Il 17 aprile del 2016 è prostrato a terra sulla nuda pietra della basilica di san Pietro. È il primo sacerdote iracheno e il primo della sua chiesa di rito siro-antiocheno ad essere ordinato da papa Francesco. «Lì, sdraiato a terra ho avvertito come se Gesù mi dicesse: “Adesso tocca a te!”».

È per attraversare le ferite di questo Paese che dal 5 al 8 marzo il papa si recherà in Iraq a Baghdad, Najaf, Nassiriya, Erbil e Qaraqosh. Gli stessi luoghi attraversati dalla vicenda umana di padre Firas che il papa visiterà pensando anche alla sua storia e alle tante persone che ha conosciuto, uomini di ogni fede. «Il papa non è solo per i cristiani – commenta padre Firas – ma è per tutti. La sua paternità è molto ampia. Il mio popolo ha molto sofferto, ma non è un popolo dimenticato. Ogni giorno – me lo ha detto più volte – prega per noi e ci darà una nuova prospettiva di vita».
Da tre anni padre Firas A Kidher è vice-parroco a Massimina, nella periferia di Roma. Per sua scelta, per stare vicino alla sua gente perché adesso tocca a lui.

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