Dalla T di Tania alla Z di zero

Lo zero sta per gli impianti per allenamento di canoa presenti nel nostro Paese, eppure Molmenti ha conquistato una medaglia d'oro: una delle curiosità del nostro alfabeto
Olimpiadi

T come Tania Cagnotto. La chiamano “medaglia di legno”. È quel piazzamento che uno sportivo fa proprio fatica ad accettare: si rimane lontano dai riflettori, ci si espone a giudizi ingenerosi da parte dei media («Il nostro atleta è arrivato solo quarto…»). Una medaglia sfuggita per un soffio è qualcosa che può far male, anche perché in alcuni casi, soprattutto negli sport cosiddetti “minori”, tra riconoscimenti economici e clamore mediatico che ne conseguono, può addirittura cambiare la vita. Ma prendere una medaglia di legno può capitare a chi fa dello sport. La nostra tuffatrice a Londra ha collezionato due quarti posti, in entrambe le occasioni a pochissimo dal bronzo. Comprensibile il suo sconforto, manifestato però con grande compostezza e senza cercare alibi nonostante rimangano dubbi su alcuni giudizi arbitrali. Grazie all’atteggiamento di Tania abbiamo apprezzato ancora di più qualche risultato apparentemente sotto le attese dei nostri rappresentanti, con la consapevolezza che solo chi non si batte per le medaglie non rischia di finire ai piedi del podio.
U come Usain Bolt. Forse sarà una particolare predisposizione genetica che sembra sia caratteristica comune del popolo giamaicano. Forse saranno le proprietà “miracolose” della patata Yam, molto diffusa in Giamaica, che secondo alcuni avrebbe anche effetti preventivi su diverse malattie. Fatto sta che Usain Bolt ha fatto quello che nessuno, prima di lui, era stato capace di fare: aggiudicarsi 100, 200 e staffetta 4×100 maschile per due edizioni consecutive delle Olimpiadi. Entrando definitivamente nella leggenda dei Giochi a cinque cerchi. Usain in pista si è confermato un grandissimo campione, ma la cosa che continua a stupire di più di questo ragazzo è la gioia travolgente che contraddistingue le fasi precedenti e successive delle sue gare. Un trascinatore che sa infiammare il pubblico come pochi, l’atleta che nella velocità ha spostato i limiti dell’uomo oltre barriere che solo poco tempo fa sembravano insuperabili. E’ lui la vera icona di questi Giochi.
V come volontari. Camminando per Londra li abbiamo incontrati ovunque: in prossimità degli impianti di gara, nelle stazioni della metro, in ogni angolo della città. Un esercito di 70.000 persone, giovani e meno giovani, tutti estremamente gentili e disponibili, sempre con un sorriso sulle labbra e con la consapevolezza (e l’orgoglio) di essere parte importante di un avvenimento storico per la propria nazione. Quasi dieci ore al giorno di lavoro, con addosso le inconfondibili divise viola e rosse, per indicare una strada, controllare un biglietto, fornire qualsiasi tipo di indicazione venisse richiesta. Molti di loro, per essere presenti, si sono dovuti prendere due settimane di ferie dal lavoro. Il tutto … senza essere pagati! Insostituibili.
 
W come Wu Minxia. La tuffatrice cinese ha vinto due ori dal trampolino (sia nella prova individuale, sia in quella sincronizzata con la compagna He Zi). Nell’ultimo anno questa ragazza si è allenata duramente nel centro di preparazione olimpica cinese e solo dopo la conquista delle medaglie olimpiche è stata informata del fatto che i nonni erano morti e che la mamma nel frattempo ha sofferto di una forma aggressiva di tumore: per non distrarla, il Governo e la famiglia (che non poteva fare diversamente) le avevano nascosto queste verità. “Da tempo sappiamo che nostra figlia non ci appartiene più”, ha commentato il padre. Che la Cina sia diventata ormai una potenza mondiale anche nello sport non c’è alcun dubbio, e il secondo posto nel medagliere finale dei Giochi di Londra lo conferma chiaramente. Adesso ci si aspetta che sia fatto qualche passo avanti anche in tema di diritti civili, come quello di trattare questi ragazzi con maggiore umanità e non solo come semplici burattini programmati per vincere. 
 
X come Xiang Liu. Ai Giochi di Atene, nel 2004, aggiudicandosi la prova dei 110 metri a ostacoli, fu il primo uomo cinese a vincere una medaglia d’oro olimpica nella disciplina regina dei Giochi, l’atletica leggera. Logico che Xiang Liu diventasse uno degli sportivi più amati in patria. Timido, riservato, quattro anni fa a Pechino questo ragazzo era l’atleta più atteso dai tifosi del Paese ospitante. Purtroppo Xiang arrivò alle Olimpiadi in condizioni fisiche non ottimali e infatti, subito dopo la partenza della batteria che lo vedeva impegnato, fu costretto al ritiro per una lesione del tendine d’Achille: un vero dramma nazionale. A Londra, a 29 anni, Liu aveva nuovamente la possibilità di tornare sul podio a cinque cerchi ma ancora una volta il tendine d’Achille, precedentemente ricostruito, non ha retto. Caduto al primo ostacolo, la sua Olimpiade è terminata subito. Stesso infortunio, stesso pettorale di quattro anni fa, il numero 1356. L’immagine del ragazzo cinese che saltellando si avvia verso gli spogliatoi rimarrà una delle più tristi di queste Olimpiadi. 
 
Y come Ye Shiwen. Può una donna nuotare più forte di un uomo? Secondo quanto visto alle Olimpiadi la risposta è sì. Ye Shiwen a Londra ha vinto 200 e 400 misti. A soli sedici anni. E lo ha fatto con delle prestazioni che hanno dell’incredibile. Pensate che la giovanissima cinese ha nuotato gli ultimi 50 metri dei 400 misti più velocemente di quanto abbia fatto il vincitore della prova maschile, Ryan Lochte (28”93 per la Ye contro i 29”10 del campione statunitense). Ovviamente questa ragazza ha stabilito il nuovo record del mondo, migliorando in un solo colpo il suo personale su questa distanza di ben cinque secondi. Gli organizzatori dei Giochi hanno fatto sapere che la nuotatrice cinese è stata controllata dall’Agenzia mondiale antidoping ed è risultata “pulita”. Ma, soprattutto dagli Stati Uniti, si sono alzati molti sospetti. Fino a prova contraria bisogna credere all’atleta che afferma che tali prestazioni sono solo frutto di un durissimo allenamento, anche se davanti a prestazioni del genere qualche dubbio in verità rimane.
 
Z come zero. Sapete quanti impianti artificiali ci sono in Italia per fare canoa slalom? Zero, nessuno! Eppure, quasi incredibilmente, proprio tra i 500 agonisti nostrani di questa disciplina è uscito il campione olimpico della specialità K1, Daniele Molmenti. Per battere i rappresentanti di nazioni come la Germania, la Slovacchia e la Repubblica Ceca, dove questo sport è di casa, Molmenti trascorre gli inverni andandosi ad allenare in Australia. Per lui alla fine dell’anno pochi guadagni, ma tante soddisfazioni personali (prima delle Olimpiadi aveva già vinto il titolo mondiale e quello europeo). Perché per Daniele, come per la maggior parte degli atleti, lo sport rimane comunque, soprattutto, una straordinaria esperienza di gioia e di vita.

Foto di Giovanna Santoro

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