Da geologo ho votato sì. Vi spiego perché

L’intenzione di coloro che si sono recati alle urne il 17 aprile non era certo quella di aprire contenziosi contro i lavoratori del settore petrolifero per comprometterne l’occupazione. Quali scenari?
Trivelle

«Sappiamo che la tecnologia basata sui combustibili fossili, molto inquinanti – specie il carbone, ma anche il petrolio e, in misura minore, il gas – deve essere sostituita progressivamente e senza indugio». Questa frase tratta dalla Laudato sì di papa Francesco ha guidato la mia scelta al voto del referendum del 17 aprile.

 

Altri 15 milioni di italiani, verosimilmente con motivazioni altrettanto valide, sono andati ad esprimere il loro voto, ma non è bastato, perché non si è raggiunto il quorum del 50% + 1 degli aventi diritto al voto, che rende valido un referendum.

Indipendentemente da questo risultato, credo che in qualunque consultazione sia importante dover esprimere il proprio voto, anche perché impedisce di strumentalizzare la propria posizione. Ad esempio, non credo che tutti quelli che non hanno partecipato al voto lo abbiano fatto consapevolmente, visto la mancata chiarezza e la scarsità di informazione ricevuta dai media sull’oggetto del referendum.

 

Intanto, il risultato, seppure non valido ai fini dell’abrogazione di una norma “economica” della legge di stabilità 2016, è piuttosto inequivocabile, in quanto ben l’86% di quelli che sono andati a votare si sono espressi con il Sì e quindi per non consentire il rinnovo delle concessioni delle attività di estrazioni di idrocarburi fino all’esaurimento del giacimento. È bene ricordare che la mancata abrogazione potrà anche permettere nell’ambito della concessione di realizzare nuovi pozzi così come di procrastinare lo smantellamento da parte dei concessionari di impianti non più attivi. Tutto ciò in contrasto con la direttiva dell’Unione Europea che non prevede proroghe a tempo illimitato per le concessioni.

 

Tuttavia il risultato del referendum, ripulito da inevitabili polemiche, è una risposta forte all’agire responsabile di ciascuno nel rispetto dei propri ruoli. In primis quello delle Regioni, che hanno voluto il referendum, le quali non sembrerebbero aver fatto molto per invogliare i propri elettori a partecipare al voto. Esse, ma non di meno le altre costiere, dovranno essere più attente verso chi utilizza le risorse del territorio, sviluppando un’azione di monitoraggio ambientale e amministrativo, che ne preservi le caratteristiche complessive ed eviti che eventuali danni ricadano sull’ambiente marino, sulle popolazioni e sulle loro attività.

 

L’intenzione, quindi di chi ha votato Sì, non era di aprire nuovi contenziosi verso i lavoratori del settore petrolifero, o di lasciarli senza un lavoro dignitoso, ma di far immaginare a chi li gestisce, come già in alcuni luoghi sta avvenendo, che non è più rinviabile la trasformazione della propria attività verso le fonti rinnovabili.

 

In Italia sono già stati raggiunti gli obiettivi prefissati per le rinnovabili, come è stato invocato da alcuni sostenitori del no, grazie anche agli incentivi che negli anni scorsi sono stati dati, ma questo non ci deve far dimenticare gli altri impegni presi a livello internazionale.

L’abbandono dei giacimenti di idrocarburi, ancora sfruttabili economicamente, previsto nella recente conferenza di Parigi (COP21) è stato richiesto a tutti i Paesi aderenti, non solo a quelli che ne hanno in abbondanza. Insistere ad utilizzare combustibili fossili significa, infatti,secondo le grandi organizzazioni mondiali per il clima e per l’energia, contribuire ad aumentare il riscaldamento globale in modo rovinoso.

 

I gravi danni provocati dai cambiamenti climatici in atto sono già evidenti nella nostra vita quotidiana. Pertanto, come è emerso da più parti in questi giorni, è necessario un cambiamento nello stile di vita e di una minore dipendenza dalle fonti fossili, e ciò potrebbe esercitare, ancor di più di quanto abbia fatto il referendum “una sana pressione su coloro che detengono il potere politico, economico e sociale”.

 

L’autore è professore di Geologia presso l’Università del Sannio 

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