Cultura, laboratorio, società civile

Riassumiamo con queste tre parole-chiave la quinta edizione di Loppianolab. Una partecipazione quantitativamente e qualitativamente in grande crescita. Qualche idea per l’Italia, qualche buona pratica per il Paese
Luca Gentile

Le conclusioni di LoppianoLab 2014 non sono in realtà delle conclusioni nel senso proprio della parola, perché proprio della natura di LoppianoLab più che l’atto di chiudere è quello di aprire, di “inaugurare”. Ogni edizione ha infatti segnato il punto di un cammino che ci ha sempre piacevolmente sorpreso. Oggi ci sembra di poter dire che di anno in anno il respiro si è fatto più ampio e i temi trattati in questi giorni, gli ospiti, la rilevanza nazionale dell’evento sembrerebbero confermare quest’impressione.

Tre in sintesi le parole per tentare di leggere LoppianoLab 2014, tra l’altro quelle più ricorrenti anche sui social network: cultura, laboratorio, società civile.

Cultura: è indubbio che LoppianoLab fa cultura, certamente nel senso in cui aiuta l’umanità a “coltivare” il proprio essere, conoscendolo meglio e accompagnandolo nella sua crescita, ma cultura anche nel senso sempre etimologico di “prendersi cura”. L’azione culturale che abbiamo promosso e sostenuto in questi giorni e in questi anni avvolge infatti con una cura infinita l’interezza della persona umana e la sostanza di sapienza.

Laboratorio: LoppianoLab è assolutamente un laboratorio in sé, ma è anche il bozzetto di una società in cui si lavora “insieme” per comprendere meglio le questioni, per accogliere la pluralità dei punti di vista, per sperimentare che le cose vanno meglio quando con umiltà si condividono, quando non ci sono maestri e discenti, ma una comunità che continuamente si educa e che nel suo lavoro comune si scopre forza, enérgheia, energia capace di trasformare le cose, anche la società, anche le istituzioni.

Società civile: è evidente che centrale nella società umana non è l’individuo, peraltro sempre più egocentricamente ripiegato su sé stesso, ma la comunità o, per dirla con un’espressione emersa in questi giorni, il “luogo relazionale” che siamo, la possibilità di una dimensione identitaria più vera. Dicevano i giovani in questi giorni che intorno a loro (cioè a noi) non si parla più di lavoro ma di disoccupazione. Ma una società relazionale aiuta ad analizzare meglio i talenti e le risorse personali e a incontrare persone che credono nel lavoro che fanno, un lavoro che possa “contenerli” nel loro essere più profondo, persone le cui esperienze di vita siano per tutti uno stimolo. Infatti solo una società in cui si torni a fidarsi l’uno dell’altro, luogo di fiducia perché luogo in cui la relazione è ontologica (riguarda cioè il nostro stesso essere e stare al mondo), può correttamente definirsi civile. Solo allora possiamo dirci l’un l’altro, come nel gioco di confronto-incontro che ha caratterizzato i laboratori e le tavole rotonde di questi giorni: non mi importa da dove vieni, mi importa che possiamo andare avanti insieme.

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