Cristiani di fronte a Boko Haram

A colloquio con un cristiano che vive a Diffa, alla frontiera con la Nigeria, dove l’organizzazione terroristica cerca di conquistare giovani e famiglie, e di dettare la sua legge

Non sono stato a Diffa, città nigerina dell’Est al confine con la Nigeria, ma è come se l’avessi visitata, in un colloquio, lungo e movimentato, con un giovane cristiano che abita in quella città, dove una comunità fedele a Roma vive e prospera. Ma con il costante pericolo degli attacchi di Boko Haram. «Ogni giorno ci sono degli attentati, tre kamikaze si sono fatti esplodere nelle ultime settimane, tra di loro due ragazzine – mi spiega XYZ, che si capirà ben presto perché non nomino −. Ci si abitua, che vuoi. L’esercito regolare cerca di combattere i terroristi, ma la lotta è impari. E non siamo la sola zona colpita dagli sconfinamenti di Boko Haram, anche i vicini Camerun e Ciad ne sono vittime, forse ancora più di noi. I terroristi reclutano molto rapidamente tra i giovani che non hanno lavoro e prospettive: offrono loro uno stipendio e la promessa di un posto in paradiso. Lo slogan: “Niente educazione occidentale” sta facendo grossi danni in una zona che è estremamente povera e lontana da tutto. Vince il più forte, c’è una sorta di legge della giungla anche senza giungla».

Le domande non sono poche: perché la popolazione locale è in maggioranza a favore di Boko Haram? Perché i terroristi sono forniti sempre di armi nuove? Perché hanno armi francesi, forse sono quelle rubate all’esercito nigerino? Da dove vengono? Perché si sono affiliati al Daesh e non ad al-Qaeda? Perché si finanziano facendo razzie di bestiame senza che l’esercito reagisca? Perché la gente non nomina mai Boko Haram ma lo racconta solo con metafore e parabole?

«Il popolo kanuri è un’unica etnia tra Nigeria, Niger, Camerun e Ciad, con una certa omogeneità che sta diventando di nuovo di attualità, portando a rivendicazioni se non di indipendenza almeno di autonomia – prosegue XYZ −; Boko Haram cavalca questa tigre. Hanno addirittura creato una banca, voluta dal loro capo, Abu Musab al-Barnawi, attaccano meno i civili e più i militari regolari, partecipano ad opere sociali, scavano pozzi, danno sussidi ai poveri, hanno capito che bisogna accattivarsi le simpatie della popolazione civile. E lo fanno con successo. Anche la propaganda è migliorata: da quando si è affiliata al Daesh, Boko Haram ha migliorato di molto i suoi video di propaganda trasmessi sul web, ha fatto un grande salto di qualità. Hanno cambiato persino il logo per adattarlo alle necessità e alla moda. Raccolgono il denaro con i metodi delle mafie, con regolarità, un po’ da tutti, nell’omertà generalizzata, e questo rende difficile smantellare la loro rete di finanziamenti. Gli eserciti regolari sono presenti, ma hanno dei limiti di azione molto forti nel diritto umanitario e delle regole di ingaggio molto strette. Certamente i quattro eserciti stanno coordinando la loro azione contro Boko Haram, ma senza grandissimi successi sul terreno».

A Diffa nei mesi scorsi erano arrivati migliaia di profughi dalla Nigeria, in fuga proprio da Boko Haram. E sono proprio questi rifugiati a essere ora nel mirino dei terroristi. «C’è una tale tensione che dopo le 20 c’è il coprifuoco per le auto, e dopo le 22 per gli umani. Ma la gente continua a vivere e per il Ramadan si è comunque fatto festa, grande festa, malgrado la paura degli attentati. La città, così simile alle altre città del Niger, è stata per alcuni giorni solo una grande festa. Ma Boko Haram è sempre presente, da quando non è stato più controllato il discorso religioso veicolato attraverso i “doni” dell’Arabia Saudita e di altri Paesi del Golfo persico, che hanno portato all’apertura di numerose moschee wahhabite, una tradizione che ormai nessuno osa condannare, essendo entrata nella normalità. Al punto che oggi non si parla più di “wahhabismo” ma di “bokoharismo”».

A Diffa si contano ben sette parrocchie cattoliche, i cristiani non sono pochi, ma tendono a nascondersi, usano un profilo bassissimo. Sono inseriti nella società civile, lavorano come matti, hanno un forte senso civico. «Ogni giorno è una vita nuova, il domani appartiene a Dio. È questa la nostra filosofia di vita, anche se la paura è nel quotidiano. I traumi ormai sono entrati in ogni famiglia e sono presentissimi ovunque. Vedere corpi sminuzzati, una gamba qui, una faccia là… cambia la percezione dell’umano. Ma non ho voglia di andarmene, non voglio essere considerato un complice di questi terroristi e dell’abbandono della città nelle loro mani. La Caritas e altre Ong sono presenti nella città, e finora la gente le protegge, perché aiutano la popolazione. Ma fino a quando? Statunitensi e francesi sono presenti nella discrezione, certamente non combattono con Boko Haram ma controllano la situazione. E sanno benissimo che l’agenda è nelle mani dei terroristi, che colpiscono dove e quando vogliono. Se i nigeriani lo volessero, e combattessero come i soldati nigerini, Boko Haram scomparirebbe, questo è certo».

L’ultima parte del nostro colloquio si riassume in fondo in una filippica di XYZ contro i musulmani e la loro visione del mondo. Propone quindi alcune misure che bisognerebbe prendere per combattere realmente il wahhabismo: 1) migliorare il sistema educativo senza lasciarlo nelle mani delle madrase wahhabite; 2) ritrovare la certezza dello Stato, la legge, la presenza dell’esercito; 3) l’Islam deve ammettere che al suo interno c’è molta immondizia, va combattuto il doppio linguaggio dell’Islam, così come la loro tendenza all’uniformazione delle diversità nella umma; 4) non bisogna che gli occidentali chiudano entrambi gli occhi pur di far soldi, mentre dovrebbero chiudere i rapporti con Arabia Saudita & Company; 5) bisogna continuare a chiamarli terroristi: ormai nella lingua locale si parla di Boko Haram non come di malfattori ma come di una “associazione”, stesso termine che si usa ad esempio per indicare la Caritas… è uno scivolone semantico molto grave; 6) la Chiesa cattolica stessa invita al nascondimento, alla calma, a non reagire alle provocazioni, a non urtare la sensibilità dei musulmani, persino ad evitare di fare il segno della croce. Giusto, ma bisogna anche avere il coraggio della propria fede».

E conclude: «Gesù ha detto di porgere l’altra guancia, ma non la terza. Bisogna combattere e resistere». Così, nessun commento.

 

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