Cristianesimo e scienza

Perché le scienze naturali nascono e si sviluppano in Occidente?

“Religione e scienza non si escludono, come alcuni oggi credono o temono,  ma si completano e si condizionano a vicenda” (Max Planck)

L’onnipresenza oggi della scienza e della tecnologia nella nostra vita quotidiana ci appare tanto familiare da considerarla come scontata. Eppure non era così cento anni fa e neppure nelle civiltà antiche più sviluppate nel pianeta. Perché allora le scienze naturali e le loro applicazioni tecnologiche sono nate soltanto nell’epoca moderna e si sono dispiegate come un carattere esclusivo della cultura occidentale?

 

Certo in tutte le grandi civiltà del passato, dalla Cina al Medio Oriente, dall’antico Egitto alla Grecia classica, non mancarono persone di straordinario talento razionale e creativo nell’indagine filosofica, nelle opere architettoniche, nelle realizzazioni tecnico-pratiche e artistiche in genere. Ma non troviamo nulla di paragonabile alla scienza moderna e al suo metodo sperimentale.

 

I presupposti della nascita della scienza

In tutte le civiltà antiche possiamo incontrare i tratti universali dell’ingegno umano. I Greci dell’epoca classica, per esempio, si distinsero nell’indagine critica e razionale della natura. Tuttavia la loro “fisica” non derivava da un metodo sperimentale induttivo, bensì si caratterizzava per l’impegno del pensiero “speculativo”, di elevata acutezza, ma frutto più di “immaginazione” e deduzione, senza un metodo sistematico ed empirico per comprendere davvero come sono organizzati il cosmo e la vita.

 

Pertanto, speculativa e mancante di prove concrete si presentava la “fisica” di Aristotele, con la distinzione tra materia “terrestre” corruttibile e materia “celeste” incorruttibile. Questa concezione della natura, nella cultura occidentale, è durata fino al XV secolo e oltre. Ma allora quali sono state le condizioni primarie per il sorgere del sapere scientifico sperimentale, e perché esso, tra le varie civiltà del passato, è germogliato affermandosi solo nella cultura occidentale?

 

La risposta si trova in alcune convinzioni con le quali una civiltà si pone davanti al mondo naturale. Se la natura venisse interpretata come una realtà caotica, capricciosa, mitologica e del tutto casuale, sarebbe impossibile realizzare un pensiero scientifico coerente, fondato invece proprio sull’intuizione fiduciosa di un ordine preciso e costante, non dipendente dalla nostra volontà.

 

Similmente, se ritenessimo che l’energia-materia fosse emanazione di un principio eterno del Male in lotta contro un principio eterno del Bene, in una vicenda ciclica e immutabile delle cose, la scienza come investigazione razionale e come visione ordinata e logica della natura non potrebbe nascere.

 

Dunque, la conoscenza scientifica può venire alla luce e progredire soltanto in particolari condizioni della cultura: la convinzione della presenza di un ordine oggettivo nella natura e la concezione dinamica, o almeno imparziale, dell’energia-materia. Per noi oggi questo sembra normale. Eppure, come abbiamo visto, non lo era per quasi tutte le culture antiche. Fino a quando, soltanto in Occidente, con Galileo e Newton, le scienze naturali come investigazione sperimentale autonoma divengono il segno distintivo della civiltà moderna. Non senza resistenze, incomprensioni e contrasti.

 

Ma già con Galileo la convinzione che la natura universale apparisse come “un libro scritto in caratteri matematici”, misurabile sperimentalmente e imitabile con le applicazioni tecnologiche, distinto ma non contrario al discorso teologico, in prospettiva superava di slancio le inevitabili conflittualità “storiche” dell’epoca e di quelle future, mostrando che la fonte della natura su cui si esercita l’indagine scientifica e quella della rivelazione biblica, sulla quale riflette la teologia, è unica: l’intelligenza divina creatrice (Logos).

 

Fede cristiana e scienza  

Per Galileo, dunque, ma anche per la maggior parte dei primi grandi scienziati della civiltà occidentale, non esiste un contrasto originario e assoluto tra conoscenza scientifica del mondo e fede religiosa cristiana, come se fossero due saperi inconciliabili. Al contrario, le conflittualità eventuali possono provenire da incomprensioni storiche sulla “diversità” di livello conoscitivo e di competenza.

 

Studiosi contemporanei hanno dimostrato che è possibile rintracciare storicamente un legame stretto tra fede cristiana e nascita della scienza. L’insistenza sulla coerenza logica della natura e sulla verifica sperimentale risultano strettamente legate al “realismo cristiano” (Auerbach), connesso con l’Incarnazione, con la presenza concreta del divino nel creato e nella “carne” umana. Questo evento scompagina e riorganizza l’intera civiltà occidentale, con l’avvento delle lingue “volgari”, della cultura e della letteratura della nuova Europa, con l’incremento delle invenzioni tecnologiche, la nascita delle università, lo sviluppo delle relazioni e dei saperi. Tale creatività appare intimamente collegata alla fiducia di fondo sulla positività della creazione e sulla sua connessione logica.

 

Insomma, il mondo in sé è buono e tutto risulta “disposto secondo misura, calcolo e peso” (Sapienza 11,20). Presupposti culturali questi essenziali per generare quello spirito fiducioso in un “ordine universale segreto e soggiacente” a cui si conformano tutte le cose.

 

Ecco perché molti studiosi contemporanei, come del resto i primi grandi scienziati (Galileo, Newton), nel rapporto tra fede cristiana e scienza non vedono una conflittualità intrinseca, bensì una continuità significativa e costruttiva. Entrambe, infatti, con percorsi e metodi diversi ma complementari, sono proiettate verso un unico orizzonte finale: la ricerca della verità e dell’unità del mondo, aspirazione suprema di ogni essere umano. Di qui il loro successo.

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