Crisi generalizzata negli hot spot

Le difficoltà nella gestione del problema profughi-migranti nelle isole dell’Egeo sono noti da tempo. Ma ultimamente la situazione è quasi fuori controllo e per molti ragioni.

Che il sistema di accoglienza dei migranti sia sotto stress lo dicono vari fattori: primo, il numero dei profughi e migranti supera di gran lunga la capacità di sistemazione dei campi: A Lesbo la capacità del campo di Moria è di 3 mila persone al massimo, ma ora ospita quasi 12 mila persone. A Samo la capacita del campo è di 648 persone, ma ne ospita 5.768 (quasi la popolazione dell’isola intera), e a Simi (isoletta vicino a Rodi) non c’è nessun campo ma arrivano ogni giorno più profughi e migranti.

Secondo fattore, negli ultimi mesi e stato notato un aumento drammatico degli sbarchi dalla Turchia. In particolare, nel periodo maggio–ottobre si è registrato un aumento del 241%. Terzo, la maggioranza degli Stati europei continuano a negare la redistribuzione dei profughi e dei migranti, cosa che avviene anche con gli sbarchi in Italia. Quarto, è evidente che l’accordo Ue-Turchia non funziona più. Inoltre le sanzioni europee si rivelano insufficienti.

Il risultato di questa situazione e che ogni giorno nei campi scoppiano incendi mentre aumentano gli attacchi alla polizia. Due settimane fa dei migranti hanno dato fuoco al campo di Moria provocando un morto, una donna dell’Afghanistan. Alcuni giorni fa, poi, c’è stato un rogo nel campo a Samo: otto persone ferite sono state ricoverate in ospedale, mentre, secondo informazioni non verificate un minorenne sarebbe stato accoltellato a morte.

Non sono solo gli scontri tra profughi e la polizia, o tra loro. Ormai i locali non sopportano più la situazione di emergenza. Sono proprio stanchi: da quattro anni hanno visto e continuano a vedere le loro isole ridotte male e il loro patrimonio turistico e la loro vita in costante degrado. Notano che negli ultimi mesi il numero dei migranti è molto più elevato di quello dei profughi, migranti che sembrano avere atteggiamenti e comportamenti spesso ostili. Alcuni hanno gridato: «Bruciamo i campi, bruciamo la Grecia», mentre appiccavano il fuoco.

Il premier Mitsotakis ha promesso di risolvere il problema tramite migliori controlli alle frontiere, migliore funzione degli uffici incaricati alla concessione di asilo, trasporto di profughi e migranti in varie altre parti al Nord del Paese. Inoltre, ha chiesto ai partner europei di ospitare almeno i minorenni non accompagnati.

Ma, da una parte i miglioramenti nelle procedure hanno bisogno di tempo che purtroppo difetta, mentre il trasporto di un numero di migranti dalle isole ad altre parti del Paese non ha senso nel momento in cui se ne allontanano 500 ma ne arrivano mille. D’altra parte, dopo l’operazione della Turchia nel Nordest della Siria si conferma ancora una volta che la risoluzione del problema va oltre ogni sforzo nazionale.

In effetti, c’è grande preoccupazione che, dopo l’operazione della Turchia in Siria, la questione diventi ancora più complicata e che i flussi migratori aumentino. Inoltre, visto che la Turchia continua a violare gli spazi aerei e quelli delle acque nazionali e le sue minacce e pretese ormai arrivano perfino a Creta e Rodi, aumenta la preoccupazione nella gente comune che prima o poi in un modo o in un altro attaccherà addirittura la Grecia. Può darsi che questa sia una prospettiva esagerata. Anche se, in un recente convegno a Rodi, l’ambasciatore russo alla Ue ha dichiarato che «qualora la Turchia attaccasse la Grecia, i greci saranno abbandonati dagli Stati Uniti come lo sono stati i curdi». Parole inquietanti. Si capisce come questa dichiarazione abbia fatto il giro di tutti i mezzi di comunicazione e abbia provocato forti discussioni.

 

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