Costituzione e ripudio della guerra

Seconda parte di un dialogo con il coordinatore di Pax Christi Italia, don Renato Sacco. Domande aperte sulla necessità dell'uso delle armi e interpretazione della Carta costituzionale
ansa

Con don Renato Sacco, coordinatore per l'Italia del movimento Pax Christi, abbiamo avviato un lungo colloquio (vedi la prima parte dell'intervista,) sulla questione della guerra e l'uso della forza, prendendo spunto dal messaggio, "La non violenza: stile di una politica di pace", annunciato da papa Francesco per la Giornata mondiale della pace del primo gennaio 2017. Un tema difficile e controverso, affrontato anche su cittanuova.it nell'articolo di Michele Zanzucchi in risposta alla posizione di Pierluigi Battista del Corriere della Sera del 31 agosto 2016 ("L'uso politico della forza è il nostro grande tabù").

 

Rimane aperta la questione di come intervenire di fronte alla violenza estrema, al mistero del male, che esiste. Il dilemma affrontato ad esempio nella Resistenza dai “ribelli per amore”, i partigiani cristiani che usarono le armi con un senso del limite sempre incerto. Così se oggi si è costretti ad intervenire in maniera tale da non fare troppi danni, non ci si può armare all’ultimo momento, ma si deve investire in tecnologia per gli armamenti. Che fare?

 

«Non posso certo ignorare i casi strazianti di violazione dei diritti umani, abbiamo citato le minoranze perseguitate in Medio Oriente, ma penso alla situazione del Burundi, eccetera. Credo tuttavia che al male, che resta con il suo mistero, non si risponda con altro male. “Occhio per occhio si resta tutti ciechi”. Non si affronta il problema investendo in armamenti, ma non alimentando il fuoco già acceso. Credo che sia necessario bloccare l’economia che sostiene il sistema delle armi, dalle banche alla tecnologia».

 

Tralasciando la questione della speculazione e degli interessi, alla radice della logica dell’occhio per occhio esiste la consapevolezza che non si può lasciare solo una parte libera di armarsi, altrimenti vince il più malvagio davanti al più ragionevole e mite. È una logica assurda ma il ragionamento tiene…

 

«Io mi rifaccio all’articolo 11 della Costituzione che ripudia la guerra e alla sapienza del Vangelo che prevede anche di perdere, tenendo conto con realismo, tuttavia, che coloro che hanno usato le armi fino alla bomba atomica non hanno certo vinto. La logica di Gesù non è stata quella di allearsi ad esempio con la setta dei sicari, che neanche più ricordiamo, per abbattere l’Impero romano. Io vedo un senso profondo degli eventi. Ad esempio mi diceva l’ex presidente Scalfaro che l’articolo 11 della Costituzione Italiana è stato approvato il 24 marzo, lo stesso giorno (di anni diversi) delle Fosse ardeatine in Roma ma anche del martirio di Oscar Romero e dell’inizio della guerra nell’ex Yugoslavia».

 

Eppure, come dice Giuliano Amato, ora giudice costituzionale, è proprio l’articolo 11 che legittima, nel secondo comma, l’uso delle armi per ristabilire l’ordine internazionale e il premier Renzi ha tenuto a distinguere Costituzione e Vangelo..

 

«Infatti sono due realtà che non si possono paragonare, perché il Vangelo guida la coscienza e basta seguire questa per chiedersi se quando è stato fatto l’intervento in Afghanistan o in Iraq si sia seguito o violato il secondo comma della Costituzione. E così in Libia nel 2011 e, prima ancora, nella ex Yugoslavia nel 1999. Non ci sono mai state le condizioni del secondo comma di consentire "in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni". Viceversa quando esistono certe condizioni come nella repubblica democratica del Congo o in Sarahawi, Sud Sudan… l’Italia resta immobile o sta dalla parte sbagliata. Ora anche nell’intervento in Libia non si sta operando per cercare la pace o i diritti dei popoli ma interessi geopolitici ed economici». 

 

Una politica di difesa va comunque trovata davanti all’abisso dei tanti conflitti in corso, a cominciare dalla Siria…

 

«Bisogna tuttavia saper dare il nome giusto alle cose. La Nato non fa politica di difesa come abbiamo visto nel caso dell’Ucraina e, quindi, come detto, bisogna potenziare l’Onu e non renderlo pericolosamente inutile. Nel nome della Difesa si moltiplicano i costi e si armano tanti eserciti che non hanno ragione d’essere. Si pensi alle forze armate di ciascun Paese europeo che invece dovrebbero concordare una linea comune e non farsi concorrenza per l’appalto dei sistemi d’arma. Si pensi al caso dei caccia F35. Costano circa 130 milioni di euro l’uno. La politica che si persegue non è certo di pace se pensiamo alle basi militari statunitensi ospitate nel nostro territorio dove sono depositate armi nucleari pronte per essere messe in azione con gli stessi caccia F35. Si chiama Difesa e invece è il mantenimento di un costoso apparato che tutela enormi interessi economici o di semplice autoreferenzialità. Quale politica di difesa si può intravedere secondo il ministro Pinotti nella vendita di 28 caccia euro fighter al Kuwait se non gli interessi di Finmeccanica?».

 

In questo quadro si pone la questione dei cappellani militari…

 

«Credo che l’assistenza pastorale, la vicinanza umana cristiana vada assicurata a tutti, dalle banche agli ospedali, ma senza stellette. E cioè togliendosi divisa e gradi militari. Nel mondo militare esiste la necessità di assistere persone che devono saper fare una scelta di obbedienza alla propria coscienza prima che agli ordini di un superiore. Si può fare questa opera preziosa di assistenza senza far parte della struttura e cioè restando liberi da ogni condizionamento. Non dimentichiamo, inoltre, che oggi non esiste più un esercito di leva, ma di “professionisti”. Quindi “cappellani sì, militari no”».

 

Leggi la prima parte dell'intervista, "Politica di pace, nonviolenza e uso della forza".

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