Cossinia e le altre

L’unico collegio di sacerdotesse della Roma pagana, quello delle vestali, oggetto di una singolare mostra a Tivoli

La mostra Tivoli e la vestale Cossinia, in corso fino al 31 maggio presso il Museo tiburtino, si focalizza sul massimo sacerdozio femminile dello Stato romano e sull’unica tomba finora scoperta appartenuta ad una vestale. Essa faceva parte della necropoli repubblicano-imperiale dell’antica Tibur sulla via Valeria e venne scoperta fortuitamente nel 1929 lungo la sponda destra dell’Aniene presso la stazione ferroviaria di Tivoli. Consiste in una elegante ara in marmo bianco degli inizi del I secolo d. C., decorata con una corona di quercia e i simboli funerari dell’urceus (brocca) e della patera (scodella). L’iscrizione dentro la corona tramanda il nome della vergine vestale Cossinia, figlia di Lucio; al di sotto, aggiunto forse in un secondo tempo, è il nome del dedicante F. Cossinio Eletto.

Nel retro sono incisi due esametri che testimoniano la fama popolare di cui godette la sacerdotessa, di antica e nobile famiglia tiburtina, morta ultrasettantenne e rimasta devota al culto di Vesta oltre il periodo consueto di un trentennio: «Qui sepolta riposa la vergine, per mano del popolo trasportata, poiché per sessantasei anni fu devota a Vesta. Luogo concesso per decreto del senato».

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L’ara si innalza sopra un basamento composto da 5 gradini in blocchi di travertino, affiancato dal basamento di un’altra tomba sotto la quale furono rinvenuti uno scheletro femminile e una bambola snodabile in avorio, ornata di monili in oro e databile all’età severiana, e un cofanetto d’ambra portagioielli, entrambi i reperti ora esposti nel Museo Nazionale Romano. L’area, già sistemata a parco ma resa irriconoscibile in anni recenti a causa dell’abbandono e del degrado, è stata ultimamente bonificata e riportata a nuova vita.

Nella mostra, che ripercorre le vicende della scoperta, sono esposti tra gli altri reperti una statua di vestale proveniente da Roma, la bambola e il cofanetto rinvenuti nella tomba adiacente a quella di Cossinia e la meridiana in uso nella necropoli tiburtina.

Il visitatore apprende che Vesta era la dea primigenia del focolare sia domestico che pubblico, dea dei valori familiari e comunitari che i romani onoravano riservandole il primo posto nel sacrificio. Il suo tempio al centro del Foro era tra i più venerandi e antichi di Roma e simbolo di aggregazione per tutto il popolo: rotondo (per ricordare la primitiva capanna in legno, paglia e vimini dell’VIII e VII sec. a. C.), aveva il tetto conico aperto in cima per la fuoriuscita del fumo del fuoco sacro che bruciava all’interno e che, nel primo giorno dell’anno, veniva comunicato ai focolari di ogni casa mediante fiaccole accese.

A Romolo, primo re di Roma, era attribuita l’istituzione di tale culto e delle vestali, l’unico collegio di sacerdotesse romano. Inizialmente tre, scelte tra bambine appartenenti a famiglie patrizie e di età compresa tra i sei e i dieci anni, in seguito divennero sei. Principale loro dovere era mantenere sempre acceso il fuoco sacro e custodire nella parte più riposta del tempio alcuni oggetti sacri, inaccessibili perfino al Pontefice massimo dal quale esse dipendevano: probabilmente i Penati, i numi tutelari della casa, se non addirittura il Palladio portato nel Lazio da Enea fuggiasco da Troia. Spettava a loro anche la preparazione dei profumi per le fumigazioni rituali e di una focaccia di farro con la quale, in occasione dei sacrifici pubblici, si cospargevano le vittime animali: la mola salsa, da cui il verbo “immolare”.

Il servizio aveva una durata di 30 anni: 10 da novizie, 10 da addette al culto, 10 da istruttrici delle nuove vestali; trascorso il periodo, potevano lasciare il tempio e andare a nozze. Anche se ciò non doveva realizzarsi per tutte: infatti era tale il rispetto dovuto all’efficacia della loro preghiera e quasi il sacro timore nei loro riguardi che non sempre si trovava chi fosse disposto a sposarle. Sarà per questo motivo che Cossinia morì ancora vergine vestale in età avanzata?

Queste sacerdotesse godevano di privilegi ed onori: potevano uscire liberamente, precedute da un littore, partecipare a cerimonie pubbliche e a spettacoli ed essere sepolte all’interno delle mura cittadine. Ma guai a lasciar spegnere il fuoco sacro, presagio di sventure per lo Stato, o a venir meno al voto di verginità! Nel primo caso la colpevole veniva frustata pubblicamente, nel secondo – come segno di allontanamento definitivo dalla comunità – veniva sepolta viva nel Campus sceleratus nei pressi della Porta Collina con una lampada e una piccola provvista di pane, acqua, latte e olio. Il sepolcro veniva chiuso e la sua memoria cancellata.

La casa delle vestali (Atrium Vestae) sorgeva nel Foro romano accanto al tempio della dea e all’antica Regia, la sede del re e, durante la repubblica, del pontefice massimo: vero monastero ante litteram, disponeva i suoi ambienti attorno ad un vasto cortile con giardino e bacino d’acqua; sotto il portico colonnato erano collocate numerose statue di “vestali massime”, le decane del collegio. Ancora ne rimangono alcune, mentre altre sono esposte nel Museo Nazionale Romano. Qui le novizie venivano consacrate dal pontefice massimo col taglio dei capelli, successivamente appesi ad un albero antichissimo.

Famosa vestale, anche se piuttosto figura mitica, fu Tuccia, protagonista di una vicenda riferita da Livio e da altri autori classici, anche cristiani: ingiustamente accusata di aver fatto spegnere il fuoco sacro, si sottopose ad una prova “impossibile” da lei stessa ideata: raccogliere acqua dal Tevere con un setaccio. La prova riuscì e Tuccia, dichiarata innocente, divenne emblema di pudicizia che avrebbe ispirato autori e artisti dei secoli successivi. Altri nomi di note vestali romane sono quelli di Claudia, Fonteia, Licinia, Fabia, Vibidia, Giunia Torquata…

Questo sacerdozio tuttavia non fu esclusivo appannaggio dell’Urbe, essendo segnalato anche in altre città laziali connesse con il mito delle origini stesse di Roma. Fonti letterarie ed epigrafiche testimoniano, infatti, la presenza di sacerdotesse di Vesta a Bovillae (erede della mitica Alba Longa), a Lavinium, a Tibur… e qui – insieme a quello di Saufeia Alessandra – riappare il nome della nostra Cossinia.

Il collegio delle vestali sopravvisse anche in epoca cristiana, finché gli interventi imperiali di Graziano (382), Valentiniano e Teodosio (391, 392) non lo abolirono insieme alle ultime vestigia del paganesimo; dopo di che il fuoco sacro venne spento e sciolto quel sacerdozio che aveva unito Roma alle antiche comunità del Lazio, anche se sembra che singole vestali fossero ancora attive agli inizi del V secolo. L’ultima vestale attestata epigraficamente fu Celia Concordia, cui venne alzata una statua nell’Atrium Vestae nel 385.

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