Coronavirus, manipolazioni politiche in India

L’India sembra tener bene fronte alla pandemia di coronavirus. I numeri ufficiali rimangono ragionevolmente limitati – circa 15 mila casi con meno di 500 morti –. I pericoli per la democrazia.

In India emerge, nel contesto della pandemia, la preoccupazione per lo stato della democrazia indiana. Dopo i commenti riportati in un precedente articolo su una lettera aperta della scrittrice e attivista Arundhata Roy, questa volta è stato il premio Nobel Amartya Sen a descrivere il Paese vittima di veri e proprie pugnalate che distruggono il suo stato democratico. Nello stato dell’Uttar Pradesh, il più grande più popolato del paese, il governo dello stesso colore di quello di Modi, ha preso misure fortemente discriminatorie nei confronti di giornalisti e pubblicazioni che esprimono opinioni contrarie a quelle del governo centrale.

A questo proposito Sen afferma di vergognarsi per i ripetuti tentativi di impedire una libera espressione all’opposizione o a chi la pensa diversamente dall’attuale partito al governo. Il premio Nobel in economia insiste che si ripetono casi in cui coloro che esprimono un parere che non sia in accordo con il partito al governo vengono etichettati come “antinazionali” e, quindi, come nemici del Paese. Non è, ovviamente, sfuggito a molti osservatori che il governo ha usato il convegno del movimento musulmano Tablighi Jamaat a Delhi per una sottile quanto grossolana nuova campagna antimusulmana. Ovviamente l’associazione musulmana è stata imprudente ed ha ignorato le norme di sicurezza coinvolgendo nella conferenza tenutasi nella capitale Delhi migliaia di membri che hanno poi fatto ritorno nelle diverse città con il rischio di diffondere l’epidemia. Ma le fonti governative ufficiali hanno lanciato un messaggio tale da sembrare che l’eventuale responsabilità del diffondersi dell’epidemia sarebbe da ascrivere al gruppo musulmano. Un tale atteggiamento si inserisce nella politica di questo governo che da mesi si sta rivelando anti-musulmana con varie misure prese che sono risultate fortemente discriminatorie contro questa comunità religiosa.

Nel contesto specifico della pandemia, si sta distinguendo per personalità politica e lungimiranza il Primo Ministro dello Stato del Kerala, Pinarayi Vijayan, significativamente ribattezzato da alcuni dei media il Cuomo dell’India, per il coraggio e la chiarezza di vedute con le quali sta dialogando con il Modi ed il governo centrale. È da ricordare che il Kerala ha un certo numero di casi di coronavirus, ma allo stesso tempo ha da subito adottato misure chiare e senza compromessi politici o interessi di nessun tipo. Pur seguendo le direttive nazionali, sul lockdown lo Stato del Sud India, ha fino ad ora dimostrato una notevole indipendenza dal resto del Paese in nome di libertà di pensiero e di politica interna a difesa dei suoi cittadini.

Infine la situazione sociale. Nonostante il lockdown sia stato accettato dalla maggior parte dell’opinione pubblica senza troppe tensioni e avversioni, resta in India il grosso nodo dei milioni di lavoratori che non sono riusciti a rientrare ai loro villaggi e che ora fanno letteralmente la fame dove si trovano o dove sono dovuti tornare. Nei giorni scorsi ho parlato con delle religiose di un lebbrosario in una delle metropoli del Paese che mi dicevano di aver scoraggiato tutti i loro pazienti – a parte la ventina che erano all’interno della struttura all’inizio della chiusura totale – dall’avvicinarsi all’ospedale. La polizia, infatti, si avventa su di loro e li colpisce duramente. D’altra parte, nei giorni scorsi, le forze dell’ordine sono intervenute brutalmente in una delle stazioni per autobus a Mumbai manganellando indiscriminatamente persone dei ceti più bassi che cercavano un mezzo per lasciare la metropoli, in base a false voci che si erano diffuse.

Un ultimo aspetto critico che sta colpendo una delle classi più tipiche di Mumbai è la situazione dei dabbawalla. Si tratta di alcune migliaia di lavoratori che caratterizzano uno degli aspetti unici di Mumbai, un elemento da Guiness Book. Ogni giorno questi facchini raccolgono contenitori preparati a casa dei lavoratori della metropoli (diversi milioni) e li consegnano puntualissimi sul tavolo giusto. Il sistema funziona da oltre un secolo e si è fermato solo in occasione delle sporadiche giornate di sciopero che colpiscono la capitale dello stato del Maharashtra. Con gli uffici chiusi queste migliaia di lavoratori sono senza alcuna possibilità di lavoro. Alcuni sono riusciti a tornare  nei rispettivi villaggi di provenienza – normalmente attorno alla città di Pune a circa 150 km. dalla metropoli. Ma la maggioranza sono dovuti restare a Mumbai e si trovano nella impossibilità di permettersi due pasti al giorno.

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