Copenhagen, ultima fermata

Si conclude oggi la conferenza sul clima, tra negoziazioni sui tagli alle emissioni, finanza "verde" ed eco-rivoluzione.
hillary clinton

Nell’ultimo giorno del vertice, i 119 capi di Stato presenti rappresentano l’89 per cento del prodotto interno lordo mondiale, l’82 per cento della popolazione del mondo e l’86 per cento delle emissioni globali di gas serra. Le negoziazioni hanno fatto qualche progresso sul tema di finanziamenti, ma meno sul fronte della riduzione delle emissioni: per ora è previsto un taglio dell’8-12 per cento entro il 2020, tenendo come base il 1990. Ma un Paese in particolare èdeterminante nel raggiungimento di un accordo giuridicamente vincolante: gli Stati Uniti, la cui legislazione non permette ancora l’imposizione di sanzioni dall’estero.

 

Già da sei mesi è in discussione al Senato americano una proposta di legge che permetterebbe l’accettazione di accordi internazionali giuridicamente vincolanti, conosciuta come Kerry, Lieberman and Graham Bill dal nome dei senatori proponenti. Mercoledì scorso il senatore John Kerry si è scusato per la mancanza di coinvolgimento dai senatori degli Stati Uniti a Copenhagen. Il motivo, secondo lui, è la priorità data dal Senato alla legge di riforma sanitaria. Kerry ha affermato, però, che i senatori stano cercando di recuperare il tempo perso negli ultimi dieci anni e crede che entro luglio 2010 la legislazione sul cambiamenti climatici debba essere riformata.

 

Così, nel caso si arrivi a un accordo in questa conferenza, il presidente Obama probabilmente aspetterà fino a quando la legge verrà approvata prima di firmarlo, in modo che il documento possa essere vincolante. L’idea è evitare che si ripeta quello che è successo con il Protocollo di Kyoto, che è stato firmato dai delegati degli Stati Uniti, ma mai ratificato dal senato. Anche la velocità di riduzione degli gas serra nel documento all’esame Senato non è adeguata al livello previsto del’IPCC per contenere il riscaldamento globale sotto la soglia di 2 gradi.

 

Ieri, in una conferenza stampa dei deputati americani, Ed Markey ha detto che «il mondo è ammalato e non ci sono altri pianeti. La nostra meta è lavorare con il mondo. Gli Stati Uniti vogliono fare la loro parte. Sta per nascere una eco-rivoluzione mai vista, che creerà opportunità di lavoro e cambiamenti ancora più grandi di quanto fece internet negli anni Novanta». Markey, insieme a Henry Waxman, è il creatore della Kerry, Lieberman e Graham Bill. Prima di arrivare al Senato e ricevere questo nome, la legge è stata approvata nella camera con il nome WaxmanMarkey. Il deputato Bart Gordon, capo del comitato della Camera americana per la scienza e la tecnologia, ha affermato: «Possiamo passare da 6 a 9 milliadi di persone nei prossimi 40 anni soltanto attraverso l’innovazione». Inoltre, la segretaria di stato Hillary Clinton ha annunciato oggi che gli Stati Uniti sono disponibili a contribuire sia con il fondo di investimento a breve termine della Unfccc sia con quello a lungo termine – senza, però, specificare valori. Lei è d’accordo che i fondi di breve e lungo termine dovrebbero investire rispettivamente 10 e 100 miliardi di dollari l’anno, il primo fino a 2012 e il secondo dal 2020 in poi, per aiutare i Paesi in via di sviluppo nella lotta contra il riscaldamento globale. La Clinton ha chiesto, tuttavia, che l’accordo della Conferenza promuova più trasparenza da parte dei Paesi emergenti con una reale verifica della riduzione delle emissioni, e che nell’uso dei fondi di breve termine sia data la priorità ai Paesi più poveri.

 

Obama è arrivato questa mattina a Copenhagen per la conclusione delle negoziazioni. Vedremo cosa il capi di Stato porteranno a casa per i loro popoli che credono nella cooperazione internazionale in materia climatica.

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