Inquinamento digitale

Aumentano le proteste: la rivoluzione digitale ha dei costi energetici sorprendentemente alti… La sobrietà è necessaria anche nei consumi di apparati informatici
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Alla Cop26 si è discusso di una quantità impressionante di aspetti dell’emergenza ecologica e dei gravi cambiamenti che sono in atto nel clima, a tutte le latitudini e a tutti i paralleli. Ci si è in particolare concentrati sull’inquinamento da emissioni di anidride carbonica, che provoca l’attuale, gravissimo surriscaldamento del pianeta. Nelle commissioni della Cop26 si è puntato l’indice in primis sui combustibili fossili, sui danni del carbone, sulle emissioni dei mercati dei trasporti aerei e non solo, e sulle mille altre cause che provocano lo stato di emergenza attuale. In questo contesto, tranne che tra gli addetti ai lavori, non ha avuto una grande eco, invece, uno dei settori che conosce una delle crescite più violente nella produzione di CO2, cioè il settore digitale.

Forse qualcuno si sorprenderà che un semplice e innocente messaggio di WhatsApp abbia un suo peso specifico nell’ inquinamento globale, ma è così. Anche se apparentemente immateriale, nei fatti quell’innocuo insieme di poche lettere ha bisogno di un complesso sistema di server e di stoccaggio dei dati che viene messo in moto da macchine che funzionano ancora con i sistemi tradizionali, usando quindi energia elettrica che da qualche parte deve pur essere prodotta, che sia col carbone, col petrolio o col nucleare. Sapendo, poi, che ormai non esiste settore industriale e commerciale, senza parlare di quelli dei servizi, che possa fare a meno di un qualche supporto digitale, si può capire quanto possa incidere il settore del digitale nell’insieme dell’inquinamento da CO2.

E poi c’è un altro aspetto del problema: i dispositivi che utilizziamo richiedono grandi quantità di energia per la loro produzione (pensiamo solo all’estrazione e alla lavorazione di minerali e metalli di ogni genere, provenienti dalle più varie regioni del mondo, e che vengono trasportati e poi “montati” sui telefonini e sui computer), così come il loro utilizzo (la carica non è nulla, è elettricità, è gas naturale, è petrolio), e persino per la loro rottamazione (che prende enormi energie, anche perché alcuni componenti sono estremamente inquinanti e quasi impossibili da riciclare).

Quanto inquina il digitale? Difficile stimarlo appieno. Le cifre prudenti della IcanICT parlano di oltre il 10% dell’elettricità prodotta mondialmente e più di un 4% della produzione complessiva di CO2. Il problema sta nella crescita costante della parte di mercato energetico necessario per mantenere gli standard normali del comparto del digitale: +1% del consumo elettrico annuo e +0,8% della produzione di anidride carbonica sempre in un anno.

Il digitale, dunque, non è pulito e produce inquinamento come e più di ogni altra attività umana. Considerando l’enorme crescita di attività legate ad esso e considerando il fatto che i prodotti del settore richiedono sempre maggiori spazi di archiviazione – una foto scattata 10 anni fa col telefonino occupava 0,5 Mb, mentre oggi ne occupa 13 e anche più – si può immaginare come ecologicamente vi sia un pericolo reale. Quante foto sono state scattate alla Cop26 dai delegati e dai 200 mila contestatori? Qualche decina di milioni, sicuramente. Fatevi i calcoli in Mb. Intendiamoci, tale consumo è una goccia nell’oceano rispetto all’inquinamento prodotto dai soliti noti del mondo industriale mondiale. Ma quella goccia è sufficiente per farci dire che la tanto reclamata sobrietà di vita va estesa anche al digitale e a tutti gli umani, così come a tutte le nostre attività, nessuna esclusa.

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