Contro il voto ai minori

Costringendo i giovani alla responsabilità e alla ragionevolezza metteremo in gabbia le loro fantasie, danneggeremmo la società che ha bisogno della loro creatività irresponsabile, dei loro sogni, delle loro utopie. Non priviamocene, ci sono indispensabili. Il ruolo della pre-politica
giovani

Su Sette dello scorso 19 giugno, nel rispondere ad una lettera di un lettore, Beppe Severgnini ha sostenuto l’opportunità di abbassare l’età di voto, quanto meno per le amministrative e i referendum: avviene già in altri Paesi e poi i ragazzi, seppur giovani, non sono meno informati e lucidi di tanti adulti. Inoltre sarebbero spinti a maturare prima e soprattutto voterebbero pensando al futuro. E questo farebbe un gran bene a tutta la società.

 

Sono motivazioni senz’altro convincenti ma, da docente che nella propria carriera ha avvicinato centinaia di giovani, mi permetto di far presenti anche osservazioni che vanno nella direzione opposta.

 

Indubbiamente il dovere del voto costringerebbe i ragazzi ad informarsi di più, ma non è così che si matura: si matura quando si esce dal mondo protetto della famiglia e della scuola e si entra in quello del lavoro, quando si comincia ad essere autonomi, a guadagnare, e si va ad abitare per conto proprio. I nostri giovani, al contrario, noi italiani tendiamo a farli restare adolescenti anche ben più a lungo del dovuto e non sarà certo il dovere di votare a farli crescere davvero.

 

Ancora: il voto non dovrebbe essere sentito come un dovere, un impegno da assolvere, ma al contrario dovrebbe essere desiderato e atteso come una preziosa occasione di poter finalmente esprimere il proprio pensiero. Anticiparlo al punto da renderlo uno strumento per crescere, una sorta di “scuola di cittadinanza” ne svilirebbe l’importanza. Più che “diritto” da esercitare sarebbe percepito come “dovere” da assolvere, quasi un compito scolastico.

 

Ma soprattutto costringendo (proprio “costringendo”) i giovani a votare li obbligheremmo, già a 16, 17 anni, a fare i conti con la realtà, ad essere ragionevoli, a pensare alla concreta realizzabilità dei programmi, a valutare le effettive conseguenze delle loro scelte, scelte -non va dimenticato – di rilevantissima importanza per le ricadute sociali che avranno. Valutazioni, queste, tutte importantissime e doverose, ma non adatte e non proprie della loro età: ogni fase della vita ha le sue ricchezze e le sue caratteristiche.

 

I bambini, ad esempio, sono gioiosamente e istintivamente vitali, vivono di scoperte e di stupore; gli adulti già disincantati e realisti; gli anziani ormai distaccati dalla vita e ripiegati più sul passato che sul presente e futuro, vivono non di progetti ma di ricordi. La società ha bisogno del contributo di tutte le fasce d’età, che non vanno livellate ed omogeneizzate: solo così può crescere sana ed equilibrata.

 

E i ragazzi, che contributo danno alla società? I ragazzi sono idealisti, pensano in grande, sono utopici, esagerati, contestatori…possono anche riuscire polemici, irresponsabili e irritanti nei loro irrealizzabili progetti o per la loro supponenza, ma ben venga! È questa la loro ricchezza…è questa la cifra peculiare e preziosissima della loro età: ne hanno bisogno loro per crescere e ne abbiamo bisogno noi per controbilanciare il nostro realismo di adulti, per non “disincantarci” troppo, per non cadere nel cinismo.

 

Non tarpiamo loro le ali, non ridimensioniamo i loro sogni e i loro progetti costringendoli ad essere concerti e realisti: quello del realismo è il compito degli adulti. Costringendoli alla responsabilità e alla ragionevolezza metteremo in gabbia le loro fantasie, danneggeremmo loro e la società tutta che ha bisogno della loro creatività irresponsabile, dei loro sogni, delle loro utopie. Non priviamocene: ci sono indispensabili e solo loro ne sono capaci.

 

Se vogliamo che i nostri ragazzi sviluppino il senso di appartenenza al corpo sociale, che apprendano i meccanismi del vivere assieme, che imparino ad interagire positivamente tra loro e con gli altri, e sarebbe una gran buona cosa se lo volessimo, non usiamo strumentalmente il voto, ma piuttosto aiutiamoli ad emanciparsi prima e, per quanto riguarda l’interesse per la politica, facciamoglielo coltivare abituandoli alla pre-politica.

 

A qualsiasi età e livello: abituiamoli, fin da bambini, ad assumersi piccoli incarichi, a farsi portavoce del gruppo, a discutere in assemblee, a chiedere sponsorizzazioni, ad autofinanziarsi, a rapportarsi con le istituzioni, a rappresentare la loro classe,  la propria squadra o la band in cui suonano, ad organizzare un evento, a inviare contribuiti ai quotidiani, ad esporsi, a partecipare a discussioni; ad impegnarsi nel volontariato anche con compiti organizzativi, e soprattutto ad associarsi.

 

Assaporino in prima persona l’entusiasmante avventura della gestione di un’iniziativa, vivano l’esperienza della collaborazione democratica, sperimentino la dimensione della politica vissuta e se ne appassionino: il voto con le relative responsabilità lasciamolo per dopo.

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