Con un cuore nuovo

Tecnologia al servizio della salute per salvare bambini con malformazioni cardiache. Un progetto d'avanguardia al Bambin Gesù di Roma che ridona speranza ai genitori e una nuova prospettiva di vita ai nascituri
Ospedale Bambin Gesù

Ha dei grandi occhioni scuri, i capelli lisci e nonostante i suoi quattro anni ne dimostra molti di meno. Matteo è uno scricciolo, sorridente e socievole che va in braccio a chiunque e manda baci a tutti, ma soprattutto oggi sta bene. Si è lasciato alle spalle trapianti, interventi, tubicini e lunghi giorni di ricovero in ospedale. Matteo è stato un paziente dell'Ospedale pediatrico Bambino Gesù a cui due anni fa è stato impiantato il prototipo di un piccolo cuore artificiale, al tempo ancora in via di sperimentazione. A quell'intervento, fondamentale per tenerlo in vita, dopo venti giorni circa è seguito il trapianto di un cuore biologico, lo stesso che ancora lo accompagna.

Quella “scommessa” vinta su cui hanno puntato tutti, medici, genitori e lo stesso bimbo a cui è stata salvata la vita, oggi potrebbe essere fondamentale anche per altri piccoli pazienti con gravi patologie cardiache. Quel piccolo cuore artificiale che era solo un prototipo oggi entra nella fase sperimentale vera e propria all'Ospedale Bambino Gesù, grazie agli oltre 800 mila euro che la rete di supermercati Conad ha raccolto e donato. Quel denaro infatti servirà a finanziare il progetto “Un cuore nuovo” finalizzato allo sviluppo di due nuovi cuori artificiali pediatrici del peso rispettivamente di 11 e 40 grammi. Si tratta di apparecchi con una ridotta invasività e dotati di un’alimentazione che riduce i rischi infettivi: una pompa assiale attivata elettricamente e collocata interamente all'interno del torace. Questi nuovi modelli permetteranno ai piccoli pazienti di essere dimessi a casa e poter aspettare il trapianto nel loro ambiente familiare. Per alcuni di loro, nei casi in cui il trapianto cardiaco non è praticabile, il cuore artificiale potrà essere anche definitivo.

«I passi in avanti della tecnologia sono rappresentati dalla miniaturizzazione di tutto ciò che è artificiale, ciò che viene installato al posto del cuore biologico che non funziona fino al sistema di alimentazione – spiega Giuseppe Profiti, presidente dell'Ospedale pediatrico Bambino Gesù -. Il primo trapianto fatto in questo ospedale disponeva di un sistema di alimentazione del cuore artificiale con una batteria contenuta in uno zaino; ora parliamo di batterie delle dimensioni di un pacchetto di sigarette. Stiamo già valutando, e sono in via di sperimentazione, sistemi di alimentazione senza fili, che si basano sul sistema di alimentazione wifi. I passi della tecnologia forse un giorno ci consentiranno di rendere permanente ciò che oggi è soltanto un ponte per consentire di arrivare al trapianto biologico o consentire di sopravvivere in condizioni normali a pazienti che per le loro patologie neurologiche croniche sono esclusi dai trapianti».

Assieme all’impianto dei cuori artificiali verrà sperimentata anche la terapia cellulare rigenerativa miocardiaca, attraverso l’uso di cellule staminali. Il modello di ricerca prevede che alcune cellule staminali autologhe, vengano prelevate dal paziente stesso al momento dell’impianto chirurgico del cuore artificiale e, dopo un particolare processo, reintrodotte nel muscolo cardiaco per generare nuovo tessuto miocardico e quindi recuperare funzionalità del cuore. Il progetto di ricerca avverrà in collaborazione con il Policlinico Umberto I e l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.

Matteo rappresenta di certo un successo e il miglior esempio di come sviluppo tecnologico applicato alla medicina e donazione degli organi possano salvare piccole vite a cui regalare un futuro. «Non avevamo diagnosi prenatale, il problema di Matteo lo abbiamo scoperto dopo circa quindici giorni dalla nascita – racconta la mamma -. All'inizio era ricoverato all'ospedale di Viterbo, da lì d'urgenza ci hanno mandato al Bambin Gesù. È stata una diagnosi difficile e molto lunga, arrivata dopo un mese che eravamo qui. Da lì è iniziato tutto”. Il momento più difficile è stato dire di sì al trapianto sperimentale, un salto nel buio, ma indispensabile per continuare a sperare. «All'inizio, quando mi hanno prospettato l'impianto del cuore artificiale – continua a ricordare -, è stata dura perché Matteo aveva già avuto un cuore artificiale e l'idea di sottoporlo un'altra volta a un intervento non molto semplice è stato forse il momento in cui volevo un pò abbandonare tutto. Però non volevo avere rimorsi e quindi se questa era la soluzione per arrivare a al trapianto, d'accordo con il dottore Amodeo, abbiamo fatto questo tentativo».

Oggi Matteo sta bene, «è tremendo – dice ridendo la mamma -, è come tutti i bambini con un ritardo, nel senso che non avendo fatto tante cose quando era più piccolo adesso si sfoga e quindi è un combina guai, va a scuola tutti i giorni, ci va contento con molta felicità ed è amato da tutti i bambini. Il supporto degli infermieri e dei medici dell'ospedale pediatrico per me è stato fondamentale, sono stati la mia seconda famiglia. Tutt'ora siamo rimasti in contatto con la terapia intensiva e ancora oggi questo ospedale rappresenta un punto di riferimento».

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