Con Agostino alle radici del dialogo cristiano

Dallo scisma donatista che lacerò la Chiesa africana all’intervento del santo per ristabilire l’unità. Quale eredità per il presente? Se n’è discusso in una giornata di studi a Roma
Di Segni

Il IV e il V furono secoli difficili per la chiesa d’Africa, attraversata com’era da uno scisma che vedeva contrapposti da un lato i vescovi di Donato e le comunità annesse, dall’altra la Chiesa, o la «Catholica», per dirla con le parole di sant’Agostino. Un conflitto che appariva insanabile, tanto erano cronicizzati gli steccati del dialogo. Nella risoluzione – che ebbe il suo atto finale nella Conferenza di Cartagine indetta da Onorio nel 411 –, Agostino, già da due decenni alla guida dell’episcopio africano d’Ippona, giocò un ruolo chiave nel gettare le basi dell’unità e della pace.

 

Fin qui solo premesse storiche, ma rimane il fatto che Agostino resta nella storia del cristianesimo un esempio illuminante per il modo di “fare dialogo” – nel caso specifico con la pars donatista –. Un convegno svolto il 13 maggio presso la biblioteca Angelica di Roma e organizzato dalla nuova Biblioteca agostiniana, da Città Nuova e dal Centro studi agostiniani, ha rivisitato quell’evento in chiave critica con contributi che vanno dagli studi sull’identità donatista della prof.ssa Zocca a quelli delle fonti agostiniane di p. Lombardi, p. Cavallari e p. Cipriani. Ma non solo. Si è parlato anche del dialogo interreligioso oggi, perché esso è «il prolungamento di quello ecumenico – ha detto Paolo Ricca della facoltà teologica valdese di Roma –. I contenuti sono diversi, ma le regole del dialogo sono le stesse».

 

In quello scisma che minava il bene dell’Africa, della sua Chiesa e della società civile, le motivazioni, dopo un secolo di divisioni, si giocavano ormai più sul piano dottrinale e politico, mentre «le vere cause non erano più chiare alle persone umili – ha precisato padre Nello Cipriani –, che si ritrovavano schierate da una parte e dall’altra senza sapere più il perché». I toni continuavano ad essere aspri ogniqualvolta se ne presentava l’occasione e lo stesso Agostino – intenzionato a riportare la pace e l’unitas caritatis, stando al biografo Possidio –, ebbe non pochi grattacapi: spionaggio durante le celebrazioni, agguati ed assimilazione col “lupo che andava abbattuto per difendere il gregge”, con tanto di ricompensa fatta a suon di remissione dei peccati per chi “avesse provveduto”.

 

Ma Agostino fu irremovibile nonostante il gran da fare dei “circoncellioni” (fanatici cristiani che al tempo dello scisma si davano alla violenza, con l’intento di cercare il martirio, ma che con il tempo vennero identificati con il prototipo del donatista). Con la sua consumata arte oratoria e l’ottima conoscenza delle Sacre Scritture, lavorò alacremente in favore della pacificazione, giungendo a quell’appuntamento dell’anno 411 con «trecento vescovi cattolici disposti a rinunciare all’episcopato pur di fare quest’unione», come ha ricordato Eugenio Cavallari, autore di due libri editi da Città Nuova. Fatto mai più verificatosi nella storia della Chiesa.

 

E veniamo all’eredità di Agostino. Anche nel campo del dialogo interreligioso, in particolare quello ebraico-cristiano, il santo d’Ippona ha qualcosa da dire da un punto di vista storico. Lo ha ricordato Riccardo Di Segni, rabbino capo della comunità ebraica di Roma, secondo il quale Agostino «ha dato i criteri perché l’ebraismo fosse accettato nella società cristiana» come custode della testimonianza della Salvezza.

 

Ancor oggi, poi, la comunità cristiana viaggia su «quei binari del dialogo preparati dal santo d’Ippona», ha detto il prof. Alici. E allora, sia che ci si muova in campo ecumenico o in quello del dialogo interreligioso, ci troviamo di fronte ad una storia gravida di episodi, ma che diventa materia viva da plasmare nell’attualità, perché «la pace è lì, alla nostra portata – affermava Agostino –. I confini si allargano tanto più la possiedi».

 

 

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