Come il Cottolengo per l’unità

Vivendo la spiritualità dell'unità, un religioso scopre le radici evangeliche del proprio carisma e, mettendo in pratica le parole di Gesù vissute dal fondatore, sperimenta la verità del Vangelo.

Mi chiamo Carmine e da 17 anni sono sacerdote del Cottolengo. In questo momento mi occupo del nostro seminario e di animazione pastorale, in particolare quella sanitaria.

La Piccola Casa

La mia Famiglia religiosa (una Società di Vita Apostolica) fa parte di una realtà ecclesiale più grande, unica nel suo genere, denominata “Piccola Casa della Divina Provvidenza” formata da sacerdoti, suore, fratelli consacrati e laici.

La Piccola Casa è nata da un evento particolare: il 2 settembre 1827 il prete torinese Giuseppe Cottolengo viene chiamato ad assistere una donna morente, rifiutata dagli ospedali torinesi o perché infettata o perché gravida.

Assistere a questa morte dolorosa, sentire il pianto dei figli e vedere la disperazione del marito, battezzare e vedere morire la piccola che questa donna aveva nel grembo, scuote profondamente il cuore di un prete già in crisi da due anni, alla ricerca di un radicalità più grande nel modo di vivere il suo sacerdozio.

Per dono dello Spirito egli capì che la sua vita doveva diventare un dono per gli ultimi, in modo particolare per quanti non avevano risposte ai loro bisogni.

Fonda così ospedali, case di accoglienza di ogni tipo, scuole per gli ultimi, e questo per un solo motivo: rendere testimonianza all’Amore provvidente di Dio che ama i suoi figli e si prende cura di loro attraverso l’amore dei fratelli.

L’unità

Il mio incontro con il Cottolengo si innesta all’interno di un’esperienza che da più di 25 anni sta segnando la mia vita. Nel 1981 infatti il Signore ha voluto benedire il mio cammino di uomo e di cristiano con un dono grande: l’incontro con il Movimento dei focolari. Anche il discernimento vocazionale avviene in questo cammino vissuto in comunione con alcuni sacerdoti, animati dalla spiritualità del Movimento.

In un’armonia che sa di Cielo, man mano che il mio cammino andava avanti, il dono si faceva sempre più chiaro. La mia chiamata ad essere cottolenghino, in un progetto però ancora più grande: l’unità chiesta da Gesù al Padre, unità che passa anche attraverso la comunione dei carismi. Sento forte in me la certezza che anche la Piccola Casa è coinvolta in questo disegno.

È iniziato così un cammino di comunione con fratelli che appartengono a Famiglie religiose diverse e con tutta la grande famiglia dei Focolari. Nella carità vicendevole, nella comunione della vita e delle esperienze, amando le altre Famiglie religiose come la mia, mi sono accorto che una luce nuova mi cresceva dentro.

Anzitutto, grazie al dono della presenza di Gesù tra noi, frutto dell’amore vicendevole, sperimento una comprensione più profonda del carisma cottolenghino che mi fa sentire ancora più responsabile del dono ricevuto.

Soprattutto è cresciuta in me la consapevolezza che la Divina Provvidenza sta portando la vita consacrata ad una nuova primavera, in un compito più grande che la comprende. Poiché l’unità è il disegno di Dio sull’umanità, il Signore chiama anche i carismi a comporre questo mosaico.

In questa comunione universale, che si realizza anche attraverso il mio contributo, il Signore chiede che anche la mia Famiglia religiosa, la Piccola Casa, sia presente come tassello, magari piccolo, ma necessario, dell’unica grande opera.

In questa luce conoscere sempre più profondamente il mio fondatore, la sua storia e il suo pensiero è diventato per me un’esigenza molto forte. Mi sono accorto che solo nella fedeltà alla mia vocazione posso essere un apostolo dell’unità voluta da Gesù, nella via che Dio scelto per me.

In un amore rinnovato a G. Cottolengo, ho studiato con passione i suoi scritti, ho letto le testimonianze ai processi di canonizzazione, accorgendomi che la sua vita, fin dagli inizi era Parola di Dio vissuta, oltre che insegnata.

Per lui era così importante vivere la Parola che, man mano che cresceva materialmente la sua Opera voleva che frasi della Bibbia fossero scritte sui muri della Piccola Casa (si chiama “Piccola”, ma è una cittadella di 120 mila m2 ).

Segni dell’amore

Vorrei ora ricordare tre passi della Scrittura che sono stati particolarmente importanti per il Cottolengo. Cuore della sua esperienza spirituale fu certamente la fiducia nella Divina Provvidenza.

La frequenza con cui citava il passo di Matteo 6, 35 “Cercate il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in aggiunta” nella certezza che “a chi straordinariamente confida il Signore straordinariamente provvede” (sono parole sue) è molto alta. I testimoni concordano nel descrivere il Cottolengo come un uomo sempre lieto, con un volto che “sfavillava di gioia quando parlava di Provvidenza Divina”.

Ogni giorno nella Piccola Casa facciamo esperienza della verità di questa parola su cui il Cottolengo ha fondato la sua spiritualità. Sono molti gli ospiti che in essa hanno trovato una famiglia, una casa e dei fratelli. Uno provvidenza per l’altro. Gli uni grazie agli altri sperimentano l’amore provvidente di Dio.

In questi anni ho sperimentato che gli ammalati sono provvidenza per me: la loro presenza infatti è una continua domanda di senso, è un continuo richiamo ad andare all’essenziale, cioè all’amore.

Chiara ci insegna a vivere la spiritualità di comunione, condividendo anche i frutti della Parola. Vi racconto qualche piccola esperienza.

Un giorno, come cappellano dell’ospedale, sono andato a far visita agli ammalati, avendo dentro un dolore molto forte per la notizia di una prova fisica e spirituale di un parente a me vicino.

Sono entrato in una stanza e mentre ero accanto al letto di Claudio, ammalato seriamente e consapevole della gravità, mi ha subito chiesto di partecipare alla sua gioia per un piccolo miglioramento nella sua salute, dicendomi: “Siamo proprio nelle mani di Dio”.

In quel momento ho capito che dovevo dimenticare il mio dolore e far festa con lui e ho sentito rivolto a me l’invito a fidarmi della Divina Provvidenza e del suo disegno di amore che tesse dietro ad ogni avvenimento.

La Provvidenza arriva anche materialmente e con abbondanza: un giorno mi chiedono di andare a dire messa al Santuario della Consolata, vicino alla Piccola Casa. Ci vado con gioia. Al termine della messa si avvicina un signore il quale, mentre mi chiede se fossi un prete del Cottolengo, mi affida un pacchetto per i poveri della Piccola Casa.

Dentro, avvolto in sacchetto di plastica, c’era un lingottino frutto della fusione di tutto l’oro che avevano in casa. Piccolo segno del grande Amore di Dio per noi.

Amare con fantasia

Un’altra parola del Vangelo, fondamentale per il Cottolengo, scelta da lui come motto della sua Opera e che voleva scritta sopra ogni lettera e sopra ogni porta d’ingresso, è il noto motto paolino “Caritas Cristi urget nos” , la carità di Cristo ci spinge (2 Cor 5, 14).

Proponendo questo testo, il fondatore ci invitava anzitutto a considerare l’amore di Dio per noi, manifestato nel mistero della croce “dalla quale tutto si impara”, come amava ripeter sovente, e poi a rispondere a questo amore con un amore urgente, pronto verso i nostri fratelli.

Guardando alla Piccola Casa mi sorprende sempre constatare come il Cottolengo abbia attualizzato il suo amore per i fratelli con concretezza, urgenza e fantasia.

La sua Opera è stata grande, ma la sua vita molto breve: in 14 anni circa, per amore di Cristo ha risposto con prontezza ai vari bisogni che incontrava sulla sua strada, non rimandando a dopo tutto quello che nell’attimo presente gli era possibile.

Ripeteva sovente che “è proprio dell’amore e della giustizia dare a ciascuno ciò di cui ha bisogno”. E questo anche quando il sentimento viene meno e l’entusiasmo si affievolisce.

Per me, vivere questo motto, significa cercare con fantasia e impegno tutto ciò che può essere utile ai miei fratelli, alla mia comunità, ai miei poveri, senza smettere di cercare vie nuove e modi più efficaci per servire i miei fratelli.

Qualche anno fa mi è stato chiesto di lavorare per un certo tempo nell’amministrazione dell’ospedale. Io sentivo che la mia indole fosse più pastorale che amministrativa, ma obbedisco, credendo alla grazia di Dio.

La difficoltà di trovarmi tra budget e contratti non è stata piccola. Però ogni mattina entrando in ospedale potevo leggere accanto ad una vetrata che raffigura il fondatore proprio questo motto: “Caritas Cristi urget nos”.

È stato il viatico che per alcuni anni ha rimotivato tutte le mattine la mia giornata di lavoro, fino ad appassionarmi. Ho capito che le difficoltà sono le occasioni che la Provvidenza ci dona per un amore più grande, per un dono più generoso.

Le perle

Infine, vorrei ricordare una terza parola che ha dato origine al carisma della Piccola Casa, attraverso il cuore del Cottolengo: la fede nella presenza di Dio nel fratello e in particolare in quello povero e sofferente.

Il tema della presenza di Dio è centrale nella nostra esperienza, al punto che il fondatore ci invitava a benedire ogni ora con la preghiera: “Ricordiamoci che siamo alla presenza di Dio e rendiamo a lui grazie”.

“Ogni volta che avete fatto queste cose ad uno dei miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me” (Mt 25, 40): vivendo questa Parola, il Cottolengo ha dimostrato che il fratello, amato in modo soprannaturale, è via che conduce a Dio.

La mia riconoscenza alla spiritualità dell’unità a questo proposito è davvero grande, perché, grazie a quell’arte d’amare insegnataci con tanta insistenza e concretezza da Chiara, l’Eterno Padre ha illuminato di luce nuova una Parola per noi particolarmente importante.

Cristo presente in loro doveva essere servito, secondo l’espressione del fondatore, “in ginocchio” cioè facendo del servizio un atto di culto che va direttamente a Dio. Riconoscere questa presenza significa educarci ad uno sguardo contemplativo che sa andare al di là di ciò che appare.

Non sempre il Signore si manifesta glorioso: a volte il corpo di molti fratelli che bussano alla nostra casa è deforme, molto deforme. A volte è difficile la relazione, soprattutto quando abbandoni e rifiuti hanno generato ferite profonde.

Con uno sguardo contemplativo il Cottolengo ha chiamato questi fratelli “perle”, il tesoro della Piccola Casa. Sono perle, perché costringono i nostri occhi a vedere oltre, il nostro cuore a diventare più grande e le nostre mani ad essere più generose. Sono perle, perché la loro presenza è una continua domanda di senso.

Io mi sono accorto che, quando riesco a fare a Lui ciò che faccio al mio fratello, l’impossibile diventa possibile e questo è seme di una umanità nuova in cammino verso l’unità. Sono riconoscente al fondatore, perché sottolineando con forza questa pagina del Vangelo, mi ha educato a vedere oltre, a vedere più in profondità.

Chiedo a Dio che doni a tutti noi lo stesso amore per la Parola che ha avuto il Cottolengo, avendo compreso che è proprio dalla Parola che nasce la vita cristiana.

Sento di dover dire al Signore un grande grazie. Sono riconoscente a Dio per i numerosissimi doni del suo amore, per avermi chiamato ad essere figlio del Cottolengo e per avermi coinvolto come cottolenghino nella divina avventura che ha iniziato con Chiara e che ci fa protagonisti nel realizzare il disegno di Dio sull’umanità: l’unità, la comunione piena con lui e con i fratelli.

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