Col relatore si risolve tutto. O no?

La competizione politica iberica si concentra sull’interpretazione di questa figura vaga prevista da alcune normative per evitare di far cadere il governo, o al contrario per attaccarlo

“Relatore”. È la parola che segna l’attualità politica in Spagna. Il significato nei dizionari d’italiano per lo più si ferma al ruolo di «chi riferisce ad altri su un determinato argomento». Lo stesso significato esiste in spagnolo ma può anche concretizzarsi nella «persona che in un congresso o assemblea riferisce le questioni trattate, nonché le deliberazioni e gli accordi corrispondenti» (Dizionario della reale accademia spagnola).

Forse è questo il profilo della persona che il governo sta cercando per «accompagnare» (parola anch’essa di moda) quei rappresentanti dei partiti politici catalani che dovranno sedersi al tavolo dei negoziati col governo centrale per trovare una soluzione politica al rapporto tra la Catalogna e il resto della Spagna.

Perché un “relatore”? È da qualche tempo che il movimento indipendentista rivendica la presenza di un “mediatore internazionale” nel conflitto. Una tale figura, però, ha delle connotazioni politiche che il governo centrale, sia l’attuale dei socialisti (Psoe) che il precedente dei popolari (Pp), non sarà mai in grado di accettare. Non l’ha fatto nel caso dei Paesi Baschi, perché farlo nel caso della Catalogna?

Carmen Calvo

L’allarme è scattato martedì scorso quando è stata annunciata la creazione di questa figura. Subito l’indipendentismo l’ha interpretata come quella di un “mediatore”, mentre subito dopo i partiti non indipendentisti, sia di ambito regionale che nazionale, hanno fatto un appello a manifestare in piazza contro la decisione. Ed ecco che il giorno dopo la vicepresidente del governo, Carmen Calvo, si è affrettata a chiare le cose: «Non occorrono mediatori, caso mai qualcuno che prende appunti, che possa convocare e coordinare, perché vi sono diversi partiti. Ma non c’è bisogno di mediatori per restare dentro la legge e praticare il dialogo in democrazia, che è il modo obbligatorio di fare politica per tutti».

Un modo di comunicare, questo, forse calcolato. Cioè gridare prima che arrivi il lupo per poi dire che si tratta solo di un cane, ma intanto il personaggio è entrato in scena. Il “relatore”, poi, non attuerebbe la sua missione nell’ambito della commissione bilaterale formata dal governo centrale e quello regionale, ma sul “tavolo” di formazioni politiche catalane.

L’analisi che fanno gran parte degli osservatori e degli esperti su questa possibile figura punta sulla necessità del governo di approvare il bilancio pubblico, dopo che lunedì scorso uno dei partiti indipendentisti, Esquerra republica di Catalogna, aveva annunciato di non dare il suo appoggio, mentre i politici catalani accusati di sedizione continuano a restare in prigione. E i voti di Erc sono imprescindibili per il governo attuale. Dunque, una certa concessione sul piano politico c’è stata. Ma all’opposizione non è piaciuta la mossa. Pablo Casado (Pp) ha definito la manovra un «alto tradimento», mentre Albert Rivera (Ciudadanos) propone di creare un «fronte civico contro Pedro Sánchez». Domenica prossima sarà il giorno delle manifestazioni in piazza.

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