Clima, l’Europa conferma il trattato di Parigi

A renderlo efficace è adesso l'adesione votata dal Parlamento europeo, che in forza del contributo alle emissioni dei Paesi europei fa superare ampiamente la percentuale minima prevista per contenere l’aumento medio della temperatura del pianeta
Parlamento europeo a Strasburgo

In occasione dell’incontro di un mese fa delle 20 nazioni più industrializzate (G20) a Hangzhou, Cina e Stati Uniti hanno annunciato congiuntamente l'adesione dei loro Paesi al trattato sul clima del dicembre scorso a Parigi, che impegna a ridurre o contenere le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera, in modo da contenere l’aumento medio della temperatura del pianeta causato dalle attività umane nell’era industriale a un grado centigrado e mezzo: comunque non oltre i due gradi centigradi.

 

Il loro impegno era fondamentale per il successo del trattato, ma non sufficiente, perché per renderlo efficace occorreva l’adesione di un numero di Paesi le cui emissioni superassero complessivamente il 55% di quelle emissioni mondiali: a renderlo efficace è adesso la adesione votata dal parlamento europeo, che in forza del contributo alle emissioni dei Paesi europei fa superare ampiamente la percentuale minima prevista.

 

Un bel passo avanti per il bene comune, molto apprezzabile in un periodo storico in cui sembra che le nazioni vogliano dedicarsi soprattutto al loro bene particolare; un passo avanti assolutamente necessario per metterci al riparo dagli sconvolgimenti climatici e sociali che provocherebbe lo scioglimento incontrollato dei ghiacci dei poli e l’innalzamento del livello degli oceani.

 

Naturalmente si aggraverebbe anche il fenomeno, che già oggi sperimentiamo, dovuto alla maggiore quantità di calore dei raggi del sole assorbita dagli oceani, poi restituita all’atmosfera sottoforma di nubi, che anche nelle zone temperate provocano improvvisi e a volte devastanti fenomeni atmosferici, una volta caratteristica delle zone equatoriali.

Un passo avanti necessario ma purtroppo non sufficiente, perché, pur rispettando gli impegni, non ci permetterebbero di raggiungere l’obiettivo: occorrerà che le nazioni  si incontrino ancora nei prossimi anni per concordare misure ancora più severe.

 

Questo soprattutto riguardo all’utilizzo del  carbone, il combustibile fossile con maggiore impatto non solo sull’inquinamento atmosferico, ma anche sull’effetto serra; la Cina consuma da sola più carbone di tutti gli altri Paesi del mondo messi assieme, e secondo l’EIA dichiara un consumo sottostimato del 17%, pari a 600 milioni di tonnellate all’anno: nel trattato di Parigi, dovendo sviluppare ancora grande parte del suo territorio, la Cina si impegna a ridurre le sue emissioni  globali solo a partire dal 2030!

 

Altro combustibile fossile da tenere sotto controllo è quello che sembra più innocuo, il metano, non quando viene bruciato, ma quando viene emesso tal quale nell’atmosfera; come idrocarburo che sale nell'alta atmosfera, esso ha un effetto serra 25 volte superiore a quello dell’anidride carbonica e una capacità di intrappolare il calore 70 volte maggiore: negli Usa Obama sta battagliando contro le lobby petrolifere per introdurre una legge che renda più stringenti i controlli sulle perdite di metano nella fase di produzione e trasporto, perdite che negli Usa sono anche maggiori a causa della pratica della estrazione di gas e petrolio da rocce compatte (fracking). Che fa l’Europa in merito?

La sfida ambientale sarà per la razza umana la vera sfida del domani.

I più letti della settimana

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons