Claudio Bissattini, i fiori tra le macerie

Bissattini, artista romano, espone le sue opere a Marino fino al 3 novembre intitolando la mostra “Terra di nessuno”. In cose che “non sono” e “non servono” il pittore trasmette un senso di vita e di bellezza
Bissattini Archio web

Claudio Bissattini, romano, raccoglie una teoria di sue opere a Marino, al Museo Civico U. Mastroianni, fino al 3 novembre (catalogo Contemporanea Michelangelo), intitolando la mostra “Terra di nessuno”.

Si può far arte usando materiali di scarto: sedie tavoli mobili gomme macchine, e così via? E fissarli nella tela con tinte accese tra un mare e un cielo azzurrissimo talora lontano-vicino? Ho amici che creano immagini fantasmagoriche con oggetti buttati, con ferri arrugginiti e sono cinesi e italiani. Dunque, si può. Con l’avvertenza tuttavia di non dare una definizione a questi prodotti, che so, nuova pop-arte, o art-di-scarico o nuova arte povera, eccetera. Nel mondo attuale, zeppo di definizioni che dicono poco o nulla, un’altra in più sarebbe troppo, sul troppo che c’è già.

Nessuno infatti vuole ruote sgonfiate, sedie rovesciate, banchi di scuola arrugginiti, che però si levano sul fondo grigio non come oggetti, ma come “soggetti”: ed è ciò che li trasforma da “cose” in “simboli”.

Ben pochi o forse ancora nessuno ama il copertone blu sulla sabbia, morto come cosa che non serve più: sta come un corpo che ha perduto l’anima. E sta solo. Chi vorrebbe l’impressionante dramma sotteso alla tela dello “Sfascio”, che è un grido?

L’opera del pittore guarda all’archeologia industriale, tipica del nostro tempo, con orrore e al contempo con freddezza piena di passione. Le tinte sono accese ma non emanano luce, dicono una emozione interna che vuole esplodere, ma è come trattenuta.  Che cosa trattiene le opere di Bissattini da un incendio doloroso e straripante?

Io penso che siano i fiori. Il cuscino tessuto a fiori di una sedia di legno qualunque tra le robe vecchie buttate, fissato sopra il bianco cenere della tela come fosse sopra-elevata. Ancora, la sedia fiorita all’Idroscalo come una vita che non vuole morire.

In questo universo di inutilità e di bruttezza, di cose che “non sono” e “non servono” il pittore trasmette un senso di vita e di bellezza. La bellezza infatti non muore, dipende dall’anima di chi la osserva o la cerca o la crea. Non importa se il soggetto sia un canestro di frutta o un barattolo o un corpo sfatto. La bellezza non è volgare, quella vera.

Ancora una volta un artista trova il fiore della poesia, cioè la speranza e la vita in ciò che appare inutile, perduto, rifiutato. Ma questa è la magia dei poeti.

 

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