Il cinico, indefesso e fustigatore delle debolezze altrui

Ne “La scuola delle mogli”, si respira un’amarezza e una modernità come solo negli ultimi testi Molière riusciva a trovare. Vi sono la gioia e il dolore della vita, il teatro comico e quello tragico. Il tutto avviene in un piccolo mondo con pochi personaggi. Al teatro Eliseo di Roma

La vicenda de La scuola delle mogli di Molière è quella del ricco borghese quarantenne Arnolfo ossessionato dall’incubo di diventare un giorno (come, secondo lui, tutti gli uomini) un cocu, un cornuto. Per sottrarsi a questo destino, che si configura nella sua mente come il peggiore dei mali possibili, egli ha concepito un progetto pazzesco e a suo modo geniale: sposare una trovatella, figlia di poveri contadini, che ha preso con sé da bambina e ha allevato nella più completa ignoranza, convinto com’è che solo l’innocenza, unita a un isolamento pressoché carcerario, possa impedire a una donna di diventare civetta e infedele. Pericolose, pensa il signor Arnolfo, sono le donne intelligenti, mentre sposare una sciocca, è l’unico modo per non finire grullo.

Ed eccola, Agnese, uscita dal collegio, educata nel timore e nell’obbedienza, ospite di una casa un po’ fuori mano che il maturo fidanzato le ha appositamente allestito in attesa delle nozze, affidata alla sorveglianza di una stolida coppia di servi incaricati di vegliare sulla sua purezza. È proprio quella breve attesa, però, a scombinare i rigorosi programmi di Arnolfo: il giovane Orazio passa sotto le finestre, e scoppia l’amore. Inutile dire che il misero progetto di Arnolfo sarà destinato a un tragicomico fallimento. Prima di giungere al sospirato lieto fine, gli equivoci e i fraintendimenti si sprecheranno. Il giovane Orazio, nella sua fiduciosa ingenuità, affiderà puntualmente le sue confidenze sentimentali proprio al tiranno al quale, ancora, si appellerà per difendere la sua bella minacciata dall’ossessiva protervia di quel geloso pater familias che, fino alla felice conclusione di tanti patimenti, non identificherà in Arnolfo stesso.

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Nel mezzo ci sono scene emblematiche: come quella in cui Arnolfo si umilia davanti a Agnese per conquistarla e quella in cui, sempre lui, si fa maltrattare dai servi con la scusa di esemplificare il trattamento da infliggere al giovane rivale. E ancora, all’inizio della commedia, davanti alla casa, l’incontro con il raziocinante Crisaldo che, pur disprezzando i mariti beatamente complici dei tradimenti delle mogli, non perciò considera una disavventura matrimoniale il massimo dei mali, né si accanisce contro l’incolpevole cocu, ritenendolo soltanto una vittima della cattiva sorte.

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Si ride molto, e di gusto, ne La scuola delle mogli  messa in scena da Arturo Cirillo col timbro della Commedia dell’Arte. Con la traduzione di Cesare Garboli, il regista ne fa uno spettacolo effervescente, direi, “a colori”, non solo per i fiorati e luminosi costumi, e per la scena geometrica e coloratissima – una piazza e una casa girevole manovrata a vista, con, da un lato solo la facciata segnata da una finestrella in cima, e dall’altro l’interno di due piani con una scala e una botola che collega le due stanze-prigione –, ma soprattutto, in un affiatamento lineare col capocomico, per la recitazione brillante e pungente di tutti gli interpreti (che sono, oltre allo stesso Cirillo, Valentina Picello, Rosario Giglio, Marta Pizzigallo, Giacomo Vigentini).

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C’è una moralità o quasi un’amena sofferenza nel finale dal sorriso amaro che spicca in modo esemplare grazie ai pregi di chi impersona il protagonista, coi suoi stupori, sdegni e propositi di vendetta del vecchio illuso destinato alla solitudine, che ci fa ridere di noi stessi, delle nostre miserie, debolezze e incompiutezze. Perché Arnolfo non è un personaggio soltanto comico, grottesco, ripugnante, per il quale è impossibile parteggiare, ma un personaggio anche sventurato, anche drammatico, meritevole, almeno in parte, di comprensione e di pietà. Proprio come voleva Molière.

“La scuola delle mogli”, di Molière, traduzione Cesare Garboli, regia Arturo Cirillo, interpreti: Arturo Cirillo, Valentina Picello, Rosario Giglio, Marta Pizzigallo, Giacomo Vigentini, scene Dario Gessati, costumi Gianluca Falaschi, luci Camilla Piccioni, musiche Francesco De Melis
Produzione Marche Teatro, Teatro Stabile di Napoli – Teatro Nazionale, Teatro dell’Elfo
A Roma, Teatro Eliseo, dal 7 al 19 gennaio 2020; a Thiene (VI), Teatro Comunale dal 21 al 23 gennaio.

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