Chiesa e lavoro nella Tiburtina Valley

Il valore di una formazione professionale integrale e il rischio educativo nella periferia industriale della Capitale. Incontro con il salesiano don Sandro Fadda
ANSA/ANGELO CARCONI

Martedì 29 ottobre 2019, in una delle zone industriali della Capitale, verrà inaugurata una chiesa dedicata alla pastorale del lavoro su iniziativa della diocesi di Roma. La nuova realtà si colloca dentro l’istituto Teresa Gerini, nell’ex “cintura rossa” romana, vicino alla stazione metro di Rebibbia, tra case popolari dell’ex piano Fanfani, un enorme istituto di pena, la sede della Cgil territoriale e quella di due grandi aziende del settore della Difesa.

La struttura del “Gerini” sulla via Tiburtina a Roma ha dimensioni colossali. Varcata la soglia, la piazzetta assomiglia quella di una caserma ma è così grande che Netflix l’ha utilizzata per girare alcune scene del film in uscita sui “Due papi”. Il terreno è fatto si sanpietrini e già si possono immaginare gli scontri epici delle partite di calcio che si consumano su quel selciato che risale alla fondazione dell’istituto, nel 1958 del grande sviluppo industriale del dopoguerra, quando d’intorno si respirava il fascino della campagna romana. Il nome della struttura proviene dalla donazione di una storica famiglia della nobiltà papalina, la Teresa Gerini aveva conosciuto don Bosco ed era nata Torlonia, un riferimento che può aprire scenari di secoli di storia. Anche recente, osservando la riduzione dell’area ora occupata da due supermercati e da un teatro, di proprietà comunale ma in stato di abbandono, pur essendo il terzo nella metropoli per dimensione.

20151204_122959È qui che incontriamo don Sandro Fadda, come ogni sardo, è fiero delle sue origini e radicato nella realtà che lo vede dirigere, da circa 10 anni, il centro di formazione professionale salesiano frequentato mediamente da 700 studenti  impegnati prevalentemente al settore metalmeccanico, oltre a quello elettrotecnico e nel settore degli acconciatori per capelli. Ogni anno, dopo un percorso di 3 anni, la scuola immette nel cosiddetto mercato del lavoro circa 60 giovani che possiedono le competenze necessarie per trovare un’occupazione. Per studiare il metodo dei salesiani di via Tiburtina arrivano anche delle delegazioni della Repubblica popolare cinese che si faranno delle domande sui perenni lavori che interessano l’arteria stradale di quella che è tuttora una delle zone industriali della Capitale. La formazione professionale è solitamente considerata di serie inferiore. Arriva molto dopo i famosi licei della buona borghesia capitolina, gli istituti tecnici e altre tipologie di scuole.  Eppure si dice che è garanzia di occupazione. È frequente leggere, infatti, di società che stentano a trovare giovani con le professionalità necessarie ai loro processi produttivi.

Quanti ragazzi che escono dal Gerini trovano un’occupazione entro un breve termine?
Il 40% entro un anno. Il 20% continua a studiare e il 10% di quest’ultimi raggiunge l’università. Teniamo conto che gran parte di loro sono stati espulsi dal circuito scolastico “normale”

Cioè?
Parlo di bocciati, ripetenti, e tanti altri sbattuti fuori dal sistema di selezione vigente nel nostro Paese. Man mano riacquisiscono la stima personale a partire dall’acquisizione della propria abilità manuale generando il desiderio di approfondire e studiare ancora. È infatti possibile fare un quarto anno abilitante e alcun di loro, il 20 %, continuano fino a conseguire un diploma. Complessivamente posso dire che riusciamo a recuperare un 70% di giovani dati per persi.

Sono le aziende che li vengono a cercare da voi?
Sono 300 le società, dalla multinazionale alla piccola impresa familiare, in contatto con il nostro istituto. Teniamo conto che, escluse le salesiane del Ciofs, siamo il centro formativo più grande nel Lazio e copriamo quasi totalmente, assieme all’Elis, questa area di formazione dove i ragazzi hanno avuto riconoscimenti pubblici da enti esterni come il premio Alfa Romeo. Già durante il secondo anno è possibile avviare i giovani a degli stage, per qualche mese, in azienda. Sono realtà affidabili con le quali abbiamo stabilito un buon rapporto di fiducia.

Il sistema pubblico di collocamento, come sappiamo, è in fase di ristrutturazione.  Come avviene l’incontro tra domanda e offerta?
Prettamente si tratta di una canale di conoscenza diretta. È interesse delle aziende stesse anche fornire i macchinari più recenti per permettere una conoscenza della tecnologia innovativa già in funzione.

La disposizione delle aule a ridosso dei laboratori risente di questa continuità tra la fase teorica e quella pratica. A quale modello vi ispirate?
Cerchiamo di seguire l’esempio delle Berufsschulen tedesche che sanno come coniugare lo studio con la prassi professionale.

Ma una formazione tecnica non difetta di una visione formativa integrale?
Sono i ragazzi stessi a chiedere qualcosa capace di andare oltre la formazione professionale. Io ho deciso di non insegnare per dedicarmi alla gestione della scuola ma nel primo anno che ho fatto come docente di religione, ho avvertito, dopo la fatica inziale, la ricerca di senso dei ragazzi che mi hanno chiesto di capire, ad esempio, cosa vuol dire “bene comune”. Si avverte quel momento decisivo in cui si aprono gli occhi e si desta una coscienza critica. Bisogna rimettere in discussione l’idea di una formazione che pretende di voler sfornare dei bravi operai senza comprendere l’esigenza interiore di diventare delle “brave persone”, cioè integre e libere. Mi rendo conto che è facile anche per noi riprodurre lo stesso sistema competitivo che ha escluso questi ragazzi dall’odierno sistema scolastico italiano che sembra aver dimenticato la lezione di partire dagli ultimi, come ci ha insegnato don Milani

Si parla, ormai, sempre più di competizione e merito..
Ma per lo più è un merito fasullo, fondato su conoscenze e posizioni di privilegio e sistemi di cooptazione fisiologici

L’utenza del Gerini è quella dei quartieri popolari, un tempo conosciuti come borgate, come è il rapporto con questa gioventù romana del nuovo secolo?
Ho scoperto che spesso, per alcuni, sono il primo “prete” che incontrano, e in generale il primo contato con l’ambiente ecclesiale.  Non sanno cosa sia la chiesa e lo stesso Cristo. Mi ha colpito vedere un giovane studente islamico spiegare la figura di Gesù ai suoi compagni romani.

Siamo al primo annuncio. Avete attivato un servizio pastorale?
Certo e del tutto volontari, partendo dalla possibilità di apertura alla dimensione della trascendenza, un percorso interiore e spirituale che è del tutto assente nella vita quotidiana.  Partiamo dagli esempi concreti per arrivare a domande di senso, di ricerca di qualcosa di più. Non proponiamo, in questa fase, liturgie o momenti di preghiera. Lo stesso metodo lo seguiamo per le ore curriculari di religione, ma tale tensione si coglie nella passione educativa comune a tutti gli inseganti dell’istituto che svolge l’attività dalle 8 alle 14 di ogni giorno feriale. Siamo tra i pochi a non aver abolito le ore di educazione civica.

E ce ne è davvero bisogno?
Eccome. Parliamo di ragazzi che trovano lavoro ma tante volte non riescono ad esercitare i propri diritti elementari. Non è una cosa così diversa da quei giovani ingegneri che portano avanti dei progetti pur restando in regime di stage, non percependo neanche un centesimo per il loro lavoro. Bisogna attendere troppo tempo prima di vedere regolarizzato un rapporto di lavoro

Ma così facendo, agevolando una formazione sindacale, non si corre il rischio di compromettere l’interesse delle aziende che dai “preti” vogliono prendere dei bravi tecnici e non dei rompiscatole?
Personalmente ho una concezione “nordica” del lavoro, con il sindacato che parla di diritti e doveri, che non deve solo dire dei Sì o dei No ma partecipare alla crescita dell’azienda, mettendosi intorno al tavolo per decidere assieme come progredire. Vedo bene, anche qui, il sistema tedesco della cogestione. Dovremmo rivedere tante cose in Italia.

In questo senso si può parlare di lavoro emancipativo?
In una reale collaborazione ci guadagnano tutti, come ha dimostrato Adriano Olivetti in Italia. In fondo è qualcosa di insito per il metodo salesiano che vede il giovane come protagonista della sua formazione, che non può essere qualcosa che cade dall’alto ma un progredire assieme.

Questo come salesiano. E come sardo?
Il grande problema del mio popolo è proprio la tendenza all’individualismo, con la resistenza ad attivare dinamiche cooperative presenti in altre zone d’Italia. E questo spiega in gran parte la povertà della mia terra. Storicamente si tratta della conseguenza diretta della dominazione piemontese che ha incentivato il frazionamento, simboleggiato dai famosi muretti a secco, dei beni comuni, che invece rappresentano il patrimonio originario della nostra cultura.

Come si collega tale riflessione con l’apertura della cappellania del lavoro il prossimo 29 ottobre presso la vostra realtà di formazione integrale?
È un segno della pastorale sociale della diocesi di Roma, dentro la cosiddetta Tiburtina valley per ribadire che l’agire assieme, il legame sociale è la vera forza nella vita personale e sociale.

 

 

 

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