Cercando il Rossini “serio”

Musica classica
Pesaro, XXIX Rossini Opera Festival. Ma quante vite viveva Rossini? Spiritoso nelle farse, disincantato nella tragicommedia delle opere comiche, osservatore dei drammi della storia e del sentimento nei lavori seri. Sono quest’ultimi, riscoperti da decenni, grazie in particolare al festival pesarese, ad aprire un altro dei mille volti di un Rossini che, se ha giocato tutta la vita a nascondersi, non riesce a farlo quando inventa la musica. Il Maometto II, un insuccesso nella Napoli del 1820, è opera a larghi quadri scenicomusicali, ove l’azione viene svolta dal canto dei singoli e del coro con una dilatazione estrema del sentimento. Così si sta fra il passato – il dramma statico alla Metastasio – e l’intuizione di un futuro che, più che romantico, si potrebbe dire simbolista. La bellezza del suono canoro e orchestrale infatti arriva ad una raffinatezza che acquista il valore di una metafora della vita stessa nei suoi diversi affetti. Anna, figlia dell’eroico Erisso, difensore veneziano dall’Islam, ama Maometto, ma si sacrifica per il padre e la patria. È l’amore a dire l’ultima parola. Gioachino, col cuore grondante di vibrazioni, inventa una vocalità che passa alla tavolozza orchestrale, creando immagini musicali dove non si esaspera il sentimento (Donizetti), non lo si affretta (Verdi), lo si contempla. È il Rossini che mostra il suo lato olimpico, almeno in musica. Il cast pesarese, nell’edizione diretta – purtroppo con piattezza – da Gustav Kuhn, con la regia equilibrata di Michael Hampe, contava sull’Anna dolce di Marina Rebeka, sul Calbo di una grande Daniela Barcellona e sul Maometto di Michele Pertusi, basso di melodiosa cantabilità. Altro cast eccellente nell’Ermione, debutto difficile alla prima napoletana del 1819. Il motivo è comprensibile: la storia dell’amore impossibile fra Andromaca e Pirro, figlio di Achille, si chiude senza trionfi di cabalette e cori, ma in una desolazione dell’anima – in un vuoto orchestrale – che anticipa l’Otello verdiano: è dramma della gelosia, troppo ardito per essere capito. Si tratta di una di quelle intuizioni folgoranti, inconsapevoli, con cui Rossini estrae il futuro della musica, ma anche il suo intimo smarrimento di fronte al dolore. Lo spettacolo era suggestivo: un fondale semovente in cui si svolgeva l’azione, la regia sobria di Daniele Abbado, la direzione puntuale di Roberto Abbado che ha fatto suonare l’orchestra bolognese con colore e levità. E poi due vere primedonne: Sonia Ganassi, al meglio della maturità vocale, e Marianna Pizzolato, un’Andromaca fresca e precisa, insieme allo svettante Oreste di Antonino Siragusa. Pubblico preso da questo Rossini strano, che sembra vivere in un altro pianeta. UN FESTIVAL PER BELLINI Finalmente Catania si è decisa. Come altre città italiane ed europee, avrà una rassegna stabile dedicata al genio locale. Fra i progetti, affidati ad Enrico Castiglione, una Norma diretta da Lorin Maazel. Un anno di preparativi per aprire a giugno 2009.

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