C’è responsabilità e responsabilità

Prima e dopo il referendum costituzionale è stato chiamato in causa l'impegno personale e collettivo nella costruzione del bene comune. Qualche spunto di riflessione per la vita quotidiana, utile nelle diverse situazioni

«Mi assumo tutte le responsabilità». Con queste parole, poco dopo la mezzanotte del 4 dicembre scorso, quando l’esito del voto, con la vittoria del no, era oramai sicuro, Matteo Renzi ha ammesso la sconfitta referendaria.

«Non sono io a decidere ma devono essere i partiti – tutti i partiti – ad assumersi le proprie responsabilità», ha detto poi alla direzione Pd il premier dimissionario prima di andare al Colle a formalizzare l’uscita da Palazzo Chigi.

E ancora, in fase di consultazioni, Renzi aveva invocato un «governo di responsabilità nazionale».

«Il senso di responsabilità mi ha costretto a scendere in campo anche adesso», aveva affermato qualche settimana prima Silvio Berlusconi, che ripresosi dall’intervento al cuore era tornato pienamente nell’agone politico.

Dalla responsabilità personale alla responsabilità condivisa col proprio partito a quella di carattere nazionale.

Responsabilità, forse la parola che torna più di tutte nei discorsi pronunciati in questi giorni in riferimento al tema della crisi e del nuovo governo: da chi vuole assumersi la responsabilità a dar vita al nuovo corso a chi indica che altri hanno il dovere di farlo, da chi invita se stesso e gli altri a non sottrarsi a chi addita i responsabili, ossia i colpevoli, del fallimento di una politica incapace di dare risposte al Paese.

Forse qui sta la differenza e non solo per la classe politica: quanto siamo capaci di assumere responsabilità al servizio del bene comune? Quanto siamo in grado di prenderci le nostre responsabilità, anche quando va male? Quanto riusciamo a condividere responsabilità che magari non sono direttamente nostre ma necessitano anche del nostro apporto? E infine, quanto siamo abituati a pensare che i responsabili, cioè i colpevoli, siano sempre gli altri?

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