Castello “esteriore” e spiritualità “collettiva”

Il contributo di uno dei partecipanti al Seminario sulla "spiritualità di comunione". Una nuova comprensione del fratello. L'inizio di una ricerca esistenziale, ecclesiale e teologica.
Castello

Ho letto tempo fa, non so più dove, un pensiero che mi torna in mente ora che mi accingo a ricordare il Seminario del 13 ottobre scorso a Castelgandolfo. Il pensiero era più o meno questo: “Chi ha fatto l’esperienza dell’Unità sorpassa ogni Credo”.

 

Non si riferiva all’esperienza dei Focolari, né alla fondatrice in particolare, ma credo che questa affermazione – di per sé riferibile ad ogni vera esperienza mistica – si addica molto a Chiara Lubich, anche perché lei, dell’Unità, ha fatto e proposto il suo ideale ad ogni livello della vita e di religione.

 

 

Ora, sollecitato da Fabio Ciardi a scrivere una paginetta sul Seminario, lo faccio volentieri, anche se senza un preciso punto di vista, non avendolo programmato.

 

Mi ricordo della discussione sull’aggettivo “collettivo” applicato da Chiara alla spiritualità del Movimento e, a tentoni, ritorno brevemente su di esso.

 

L’esperienza che Chiara racconta in “Paradiso ‘49”, apparentemente assorbente e “tentante” come il Tabor per Pietro, l’ha spinta, invece, verso il luogo di Dio che sono i fratelli, non tanto come prova dell’amore verso Dio (cf. Mt 25 e 1 Gv 2, 9), ma come luogo “sacramentale” di attuazione del Vangelo, luogo di incontro con Dio e di crescita spirituale nella circolarità dell’amore. Chiara parla addirittura di spiritualità “collettiva”, mettendoci in imbarazzo, ma è necessario prendere sul serio il suo modo di esprimersi, anche se fosse solo funzionale a farsi capire.

 

Ella, infatti, vuole far capire la novità di un messaggio che è stata inviata a lanciare sulla terra. È nuovo, perché – se ho ben capito – include l’altro (il fratello o la sorella) nel proprio cammino di santificazione, non come semplice preoccupazione pastorale o caritativa (pregare per l’altro, aiutare l’altro…), ma nella convinzione che io non mi posso santificare da solo con Dio, ma nell’altro e l’altro in me. Nel senso che non si può prescindere dall’unità con il fratello.

 

L’esperienza eccezionale avuta in Dio (Paradiso ‘49) ha spinto Chiara a leggere in questa chiave il proverbio che dice “Un fratello aiutato da un fratello è come una città fortificata” (Pro 18, 19). Ancora una volta, non nel senso puramente “caritativo”, ma esistenziale e mutuo. Tutti e due i fratelli diventano una fortezza.

 

La fraternità come luogo dell’unità trinitaria sulla terra alla luce del “siano uno come noi”. Sono i sacramenti (l’Eucarestia e la Riconciliazione) che sostengono il cristiano, ma prima di questi, dato che ne costituisce lo scopo, c’è la fraternità nella quale santificarci in nome di Cristo. Questo è il messaggio che viene, per esempio, da “Guardare tutti i fiori”.

 

È difficile capirlo nelle conseguenze, ma si deve approfondire questa indicazione che farà di Chiara un altro Dottore della Chiesa. Se Dio è in me, è anche nel mio fratello e, dunque, non c’è differenza tra adorarlo in me e nell’altro e i due cieli devono incontrarsi e crescere proprio nello scambio di quelle esperienze che, normalmente e tradizionalmente, si confidavano solo, e non sempre, al consigliere spirituale, anche nella convinzione che fosse bene così.

 

E, allora, le cose che avvengono tra Dio e l’Anima nella stanza più segreta del Castello di cui parla Teresa d’Avila, devono avvenire anche nell’incontro “fraterno” in cerca dell’Unità? Sembra che Chiara voglia spingerci – con questa “spiritualità “collettiva” – a pensare proprio a questo.

 

Del resto, nel libro del monastero dell’Incarnazione di Avila che Chiara ha voluto visitare pochi anni fa (2 dicembre 2002), ha scritto una preghiera significativa, credo, proprio in questo senso. Una preghiera dove ella, mettendosi sullo stesso piano di Teresa, le chiede di vegliare sul suo “Castello esteriore” che lo Sposo ha suscitato sulla terra a completamento del suo “Castello interiore”.

 

Significa che Dio, cercato nell’anima (Castello interiore di cristallo), vuol essere cercato e trovato anche nel dialogo fraterno (Castello esteriore)? Chiara avrebbe potuto chiamare la sua spiritualità “fraterna”, invece di “collettiva”. Anche se avesse usato questo termine, perché non ne trovava altri, non possiamo, dunque, sostituirlo noi. Noi abbiamo soltanto il compito di capire fino in fondo come si realizza questa “esteriorità” del Castello di Dio.

 

 

 

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