Caso petrolio, disastro ambientale in Basilicata

Sarebbero 850 mila le tonnellate di sostanze pericolose immesse in un anno nei pozzi e migliaia le cartelle cliniche sequestrate. Pesantissime le accuse per reati ambientali formulate dalla Procura di Potenza. Prosegue l'indagine dei carabinieri del Noe e non si esclude l'ipotesi di disastro ambientale  
Caso petrolio

Taroccare i numeri delle emissioni in eccesso per non creare allarmismi. Questo il probabile gioco di numeri – secondo i pubblici ministeri di Potenza – che coinvolgerebbe i manager Eni di Viggiano e le ditte che operavano nello smaltimento dei liquidi inquinanti. E così, il rifiuto pericoloso diventava innocuo e pronto per essere smaltito nei pozzi della Val D’Angri. In questo modo scendeva anche il prezzo dello smaltimento, da 90 o 160 euro a tonnellata fino a 33 euro. In un anno sono stati immessi nei pozzi circa 854 mila tonnellate di liquidi inquinanti, con una riduzione dei costi per l’Eni di circa 100 milioni di euro.

 

Liquidi contenenti metidieanolammina (Mdea) e glicole trietilenico, sostanze tossiche che venivano comunemente smaltite come acque di produzione e reiniettate nel pozzo Costa Molina 2, ubicato in agro di Montemurro (PZ), benché in realtà fossero “rifiuti speciali pericolosi” da trattare anziché nascondere sotto terra.

 

Ogni rifiuto ha un codice di sei cifre: il codice Cer (Catalogo europeo dei rifiuti), una sequenza numerica volta a identificare il rifiuto in base al processo produttivo da cui è originato. Questo codice potrebbe essere stato modificato per rendere non inquinante il rifiuto. I carabinieri del Noe proseguono con le indagini e la procura di Potenza non esclude l’ipotesi di disastro ambientale. Intanto c’è stato il sequestro preventivo dell’impianto Cova di Viggiano.

 

La Basilicata, una terra stupenda, è stata sfregiata dalla mano brutale dell’uomo. L’Eni – attualmente non è un soggetto indagato – ha fatto sapere attraverso un proprio comunicato che, dopo l’arresto di sei dipendenti, ha proceduto alla sospensione degli stessi e all’avvio di un’indagine interna.

 

Per l’alterazione dei codici rifiuto sono indagati vari manager e responsabili del centro, imprenditori dello smaltimento. L’elenco comprende funzionari della Regione, otto manager dell’Eni, nonché imprenditori affidatari di contratti di smaltimento. Tutti, secondo le accuse, contribuivano in vario modo a praticare e gestire il “traffico illecito di rifiuti“.

 

Oltre a falsificare i codici Cer, venivano manomessi anche i dati inquinanti dei camini del centro oli che, insieme ai residui di produzione, sono l’altro fattore di maggior impatto ambientale. Grazie soprattutto alle intercettazioni gli inquirenti hanno scoperto l’organizzazione perfetta nella manomissione degli allarmi per gli sforamenti dei limiti alle emissioni in atmosfera. Lo scopo era quello di abbassare i valori e farli rientrare nella norma per non incorrere nel blocco delle attività.

 

In pratica il sistema automatizzato di monitoraggio degli allarmi prevedeva l’invio di un sms a una lista di funzionari, con l’indicazione del camino interessato. Solo tra dicembre 2013 e luglio 2014 ne sono annivati 208, che indicavano l’avvenuto superamento dei limiti di emissione di Nox e So2.

 

Ciò che gli investigatori e le forze dell’ordine stanno cercando di appurare, anche con il sequestro di migliaia di cartelle cliniche di malati di tumore, è se esiste un legame trai reati commessi e l’aumento esponenziale di patologie oncologiche, come denunciato dai cittadini.

 

Ancora una volta, dunque, ci sono in ballo l’occupazione e la salute dei cittadini: due elementi che non riescono a interagire. Meglio ammalarsi ma avere il lavoro, o curare la salute e l’ambiente con la possibile perdita di occupazione?

 

Intanto, la presidente dell’Eni, Emma Marcegaglia, è impegnata nel tentativo di scongiurare il sequestro del centro oli facendo leva sul fattore occupazionale che – dagli ultimi dati pubblicati nel Local Report Eni 2014 – riguarda circa 3530 persone che hanno lavorato per le attività di Eni Distretto Meridionale, di cui 409 occupati diretti e 3.121 occupati indiretti nell’indotto oil&gas.

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