Caso Attanasio, un silenzio da rompere per cercare la verità

Troppo silenzio mediatico e verità di comodo sull’assassinio, avvenuto nel 2021, dell’ambasciatore italiano in Congo, Luca Attanasio, assieme al carabiniere Iacovacci e all’autista Milambo. Intervista a Matteo Giusti, autore del libro inchiesta “L’omicidio Attanasio, morte di un ambasciatore”. Come chiede il Nobel per la Pace 2018 Denise Mukwege è ora di istituire un tribunale speciale per i crimini commessi in Congo, area strategica decisiva per gli interessi economici e politici mondiali.
Caso Attanasio RD Congo AP Photo/Justin Kabumba

Luca Attanasio, ambasciatore dell’Italia nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), è stato ucciso in circostanze che restano oscure il 22 febbraio 2021, assieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e dell’autista Mustapha Milambo, mentre stavano per recarsi nel Kivu, regione confinante con il Ruanda, per sostenere un progetto umanitario dell’Onu.

Il giovane diplomatico italiano ha rappresentato il meglio del nostro Paese nell’attenzione concreta alla popolazione congolese tenuta in ostaggio dai grandi interessi economici e geopolitici che sono all’origine delle violenze e della povertà che colpiscono gli abitanti di una delle aree più ricche del Pianeta.

Per fine gennaio 2022 è attesa la decisione per il rinvio a giudizio di presunti colpevoli del triplice omicidio da parte della magistratura italiana che ha aperto due distinte inchieste in materia.

Nel frattempo il 18 gennaio il capo della polizia della provincia del Kivu del Nord, nella RDC, ha indetto una conferenza stampa per far sapere di aver arrestato due presunti colpevoli dell’eccidio consumatosi, secondo tale versione, durante un tentativo fallito di rapimento dell’ambasciatore da parte di una delle tante bande armate che sono predominanti in quella zona. Una ricostruzione dei fatti che è in linea con la versione dell’incidente possibile in un simile contesto. Una verità di comodo che permetterebbe di chiudere il caso senza scomodare la responsabilità dei mandanti dell’eccidio e le conseguenti complicità internazionali.

Esito che può essere scongiurato dall’azione del nostro ministero degli Esteri e dal lavoro dei giudici inquirenti italiani ma è compito dell’informazione non assecondare la tendenza a porre nel silenzio una vicenda emblematica nell’evidenziare la possibile azione positiva dell’Italia a livello internazionale in aree devastate da grandi ingiustizie planetarie.

Ne abbiamo parlato con Matteo Giusti, giornalista esperto di Africa e collaboratore di Limes, autore di un rigoroso libro di inchiesta sul caso Attanasio (L’omicidio Attanasio, morte di un ambasciatore. Castelvecchi 2021), che permette di conoscere le grandi questioni aperte in quella parte del continente africano che sono all’origine del sacrificio di Attanasio, Iacovacci e Milambo.

Cosa è che non torna nella ricostruzione di una vicenda che rischia di essere archiviata come un fatto di banditismo in una regione in preda al caos?
Ci sono due cose che stonano in maniera vistosa. La prima riguarda la tempistica, perché è stato necessario quasi un anno per arrestare dei presunti criminali, proprio a poche settimane dal rinvio a giudizio della magistratura italiana e pochi giorni dopo le pressioni del ministero degli Esteri italiano sul caso. La seconda riguarda le modalità di arresto. Alla stampa presente non sono state fornite prove sulla colpevolezza degli arrestati né nessuna modalità di indagine o di arresto. I due fermati, solo 2 su 6 sarebbero effettivamente coinvolti, al massimo possono essere degli esecutori materiali, assolutamente non in grado di organizzare un attentato come quello all’ambasciatore.

Come si spiega il prevalente silenzio mediatico su un fatto gravissimo che ha colpito l’espressione migliore della nostra presenza all’estero?
Il silenzio dei media è davvero assordante e l’opinione pubblica se non stimolata rischia di dimenticare con facilità. Non era mai successo al nostro Paese di perdere un suo rappresentante diplomatico nel pieno delle sue funzioni. Nel 1800 sarebbe stato un sufficiente casus belli, mentre oggi scivola verso l’oblio.

Quali interessi possono essere toccati da un’inchiesta più approfondita sostenuta da un’opinione pubblica più consapevole?
In Congo sono tanti gli interessi in ballo soprattutto economici e geopolitici, il futuro del pianeta si gioca in Africa dove si trovano tutte le materie prime fondamentali come il cobalto per le auto elettriche o il coltan per i cellulari. Un campo minato in cui però è necessario muoversi, anche se con le dovute cautele.

Cosa può fare l’Onu per uscire da ogni ambiguità e riprendere la sua autorevolezza a partire da questo tragico evento?
L’Onu e soprattutto la sua agenzia, il World Food Programme, hanno dirette responsabilità sull’accaduto perché stava a loro organizzare il viaggio e garantire la sicurezza dei nostri connazionali. La magistratura italiana ha aperto un fascicolo per omesse cautele e se la Nazioni unite vogliono davvero recuperare autorevolezza dovrebbero collaborare e invece il WFP cerca l’immunità diplomatica per evitare ogni tipo di processo.

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