Cari vescovi fatevi aiutare dalle famiglie

Alla vigilia della chiusura del Sinodo, abbiamo intervistato Maria Angelica e Lucio Rochas, uditori all’assise convocata dal papa per aiutare le famiglie nelle tante sfide poste dalla modernità. “Vorremmo che il clero sentisse in noi laici lo stesso amore per il Vangelo e per la Chiesa”
Papa Francesco apre il Sinodo sulla famiglia

Maria Angelica è solare, latina nelle espressioni e nella confidenza. Lucio è più riflessivo, anche se giustifica il timido disagio con la difficoltà di esprimersi in un’altra lingua. Colombiani, due figli, lei dentista e lui direttore del dipartimento di Etica dell’università Gran Colombia, sono tra gli uditori invitati al Sinodo sulla famiglia, che in queste ore sta lavorando alle conclusioni. In gennaio, a Roma, avevano collaborato con il Pontificio consiglio per i laici sulle tracce in preparazione del Sinodo e poche settimane fa, a sorpresa, una lettera della nunziatura li ha invitati a partecipare all’assise dei vescovi. Da oltre 20 anni lavorano per le famiglie legate al Movimento dei Focolari, accompagnandole sia nei percorsi di preparazione al matrimonio che negli anni seguenti, quando la crisi sempre in agguato rischiano di incrinare un sacramento e un amore.

 

Che impressione avete di questi giorni a fianco dei padri sinodali?

Maria Angelica: «Il sinodo è una grande esperienza di crescita nel parlare e nell’ascoltare. L’invito del papa di dire con libertà quanto si sente è stato fondamentale, come la sottolineatura dell’ascolto con umiltà e lo abbiamo visto nel nostro circolo minore dove c’erano 24 vescovi, due famiglie e due esperti in bioetica e teologia che ci aiutavano a comprendere alcuni punti. Abbiamo ascoltato tante esperienze, anche con momenti di sofferenza e linguaggi forti, ma serviva per chiedere realmente la presenza dello spirito santo».

Lucio: «È un’esperienza vera di chiesa in cui sentiamo che la famiglia è ascoltata, ma c’è tanto cammino da fare, perché si sente ancora il forte peso del clero e la difficoltà di trasferire concetti teologici nella quotidianità familiare. Quando ad esempio abbiamo raccontato come viviamo in famiglia il modello di relazione della Trinità, tanti erano sorpresi e magari non lo pensavano possibile, mentre per noi è un’esperienza comune».  

 

Uno dei temi, particolarmente sottolineati dai media, è stato quello della comunione ai risposati. Come si è articolato il dibattito su questo punto?

Maria Angelica: «È stato uno dei temi e noi abbiamo voluto sottolineare che la comunione non è solo sacramentale, ma si vive nel fratello, nella parola, in una comunità che fa sentire tutti accolti e non sottolinea solo la separazione. Dobbiamo ricordarci che le presenze di Dio sono tante e che il mezzo di santificazione è la croce e non solo l’Eucarestia. Ricordo che una volta avevo litigato con Lucio e non avevo fatto pace. Andando a messa non riuscivo a riceve la comunione perché avevo rotto la comunione con un fratello: riconoscere questo dolore e questo fallimento era prioritario nel prepararmi a ricevere l’Eucarestia».

Lucio: «Le mie riflessioni a riguardo nascono dal corso di mediazione familiare che ho frequentato a Loppiano, la cittadella dei Focolari e dall’essere direttore di questo dipartimento di etica da ben sette anni. Si crede che dando una regola universale e aprendo la porta a tutti si risolvano i problemi con la Chiesa. Guardiamo ai cristiani di oggi: tanti vanno a messa, dicono di essere cattolici, ma poi non ricevono l’eucarestia perché non hanno capito il sacramento. Si è più preoccupati della dottrina che del valore del sacramento e della vita del vangelo. Prima serve imparare ad amare in senso evangelico, altrimenti diventa una scelta sentimentale verso quei poveretti che non si alzano e non ricevono la comunione. Ogni famiglia è diversa e diverso il cammino di avvicinamento a Dio».

 

Cosa dal vostro punto di vista incide di più nella crisi dei matrimoni?

Lucio: «La vera domanda è perché siamo arrivati a questa situazione? A mio parere, la Chiesa, per circa vent’anni, si è rilassata sul tema del matrimonio e se penso solo alla nostra città ci si prepara al matrimonio in pochissime ore, magari tre ore alla vigilia della funzione. Come si può chiamare preparazione al matrimoni, un corso così? Ci sono troppi matrimoni falliti e solo ora la Chiesa sta comprendendo che non si tratta di un sacramento da prendere alla leggera».

Maria Angelica: «Il corso è importante, ma non basta. Serve un accompagnamento già durante il fidanzamento, con una famiglia che si prenda cura dei fidanzati e che ogni volta li porti al confronto con diversi tipi di famiglie, facendoli incontrare con questi sposi e con i loro travagli, perché scoprano che anche questa è una via di santità e non solo un vestito bianco».

 

C’è un’esperienza nel vostro lungo percorso di formatori che ha lasciato un segno?

Maria Angelica: «Recentemente abbiamo accompagnato al matrimonio una coppia che nei nove anni di fidanzamento è riuscita a mantenere la purezza e questo è un esempio. Resta emblematica anche la storia di Karina, che conviveva da dieci anni con il compagno e che da lui ha avuto una figlia. A seguito di una crisi, lui l’ha lasciata per un'altra donna, ma si è pentito e ha capito che per restarle fedele avrebbe dovuto sposarla. Nel percorso di formazione si sono confessati, hanno ricevuto l’Eucarestia e hanno deciso di vivere il periodo che li separava dal matrimonio in castità. Sono entrambi di un quartiere povero e non potete immaginare quante voci e pettegolezzi sono sorti, vedendo che lui tornava a vivere dai suoi genitori e nello stesso tempo, ogni giorno andava dalla figlia per aiutarla a fare i compiti. Ci ripetevano: “Saranno solo cinque mesi, ma vogliamo offrirli a Dio per averci aiutato a capire la sacralità di questo sì”. Sono stati una testimonianza».

 

Se vi si chiedesse un consiglio per i vescovi a conclusione di queste settimane, cosa direste?

Lucio: «La Chiesa apre con fatica le porte a famiglie e movimenti e spesso c’è un clericalismo esagerato, perché anche noi non facciamo comprendere ai vescovi il nostro amore per la Chiesa e per il vangelo. Una sana pastorale familiare non è lo scopo solo del sacerdote, ma di tutti noi e noi famiglie vogliamo accompagnarlo e aiutarlo».

Maria Angelica: «Direi di lasciarsi aiutare dalle famiglie e di approfittare della loro esperienza, perché è tra le mura domestiche che si mette in pratica la dottrina e se una famiglia racconta le sue esperienze in merito, aiuta anche altre famiglie nella formazione. Perché nella famiglia nascono e crescono bambini che saranno anche le future vocazioni cristiane nella Chiesa e per la Chiesa».

I più letti della settimana

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons