Carcere e criminalità. Legame da rompere

Occorre investire per evitare che l'abbandono e l'isolamento siano il terreno di coltura per il reclutamento della malavita. I soldi ci sono ma vengono spesi male (braccialetto elettronico) o restano inutilizzati (Cassa delle ammende)
ANSA/ UILPA PENITENZIARIA

Se, come abbiamo già accennato, il carcere può diventare luogo privilegiato di radicalizzazione, c’è bisogno di un tutto un profondo ripensamento del modello formativo degli operatori. Psicologi, mediatori culturali, autorità religiose, insegnanti e istruttori professionali sono alcune delle figure che occorre rendere sempre più presenti nel contesto penitenziario.

 

Il modello formativo poi deve puntare a far condividere i dati che, da diversi punti di vista, gli operatori raccolgono. In definitiva occorre rimodulare un metodo di lavoro in gruppo che il vigente ordinamento penitenziario ha sempre sollecitato.

L’approccio individuale ai complessi problemi del sistema penitenziario, oltre che fonte di ansia, è inadeguato e fallimentare.

 

Tutte le esperienze penitenziarie che, nel rispetto della particolare problematicità, hanno cercato di tenere in debito conto i cardini della rieducazione hanno portato buoni frutti. Quando invece si è voluto solo guardare agli aspetti securitari, i risultati non sono stati altrettanto soddisfacenti. So bene che in talune persone detenute il riconoscimento della dignità è messo a dura prova. Ciò però non può significare che, come recita una certa vulgata, occorre chiuderli dentro e buttare la chiave. La forza di uno Stato si afferma nel far sì che “gli istituti penitenziari siano luoghi di rieducazione e di reinserimento sociale, e le condizioni di vita dei detenuti siano degne di persone umane”(papa Francesco, 4-01-2017).

È vero tuttavia che le parole non bastano e la sicurezza ha un costo.

Molto spesso, tuttavia, i soldi disponibili sono spesi in maniera incomprensibile. Due esempi per tutti.

 

Il primo è senz’altro il braccialetto elettronico. Come ha fatto notare Maurizio Tortorella su Panorama del 21 dicembre 2016, si tratta del “monile più caro del globo” Perché «dal 2001 a oggi il braccialetto elettronico per i detenuti (che in realtà è una cavigliera) è costato almeno 173 milioni di euro». Nella fase sperimentale durata un decennio si sono impiegati solo quattordici apparecchi impiegati per una spesa di 110 milioni di euro, mentre dal 2011 in poi «con una spesa di cifra di 10-11 milioni di euro all’anno» ne sono stati usati altri 2 mila circa.

Il secondo esempio riguarda i fondi disponibili nella Cassa delle Ammende. Al 31 dicembre 2015 ammontavano a  53.292.719,00 euro, al netto di una spesa nello stesso anno di euro 9.228.139,00.

Grazie a una modifica legislativa (nel 2009) parecchi fondi sono stati dirottati dalla sperimentazioni di misure alternative alla pena agli interventi di manutenzione straordinaria degli istituti penitenziari. Su 128 progetti elencati sul sito del Ministero della giustizia, appena nove riguardano l’esecuzione penale esterna e delle sanzioni di comunità mentre il dettato della legge Legge 27 febbraio 2009 dispone che “la cassa delle ammende finanzia programmi di reinserimento in favore di detenuti ed internati, programmi di assistenza ai medesimi ed alle loro famiglie e progetti di edilizia penitenziaria finalizzati al miglioramento delle condizioni carcerarie”. Questa la finalità chiara e semplice definita dalla norma anche se l’ultima aggiunta (edilizia penitenziaria) tende sovrastare le altre. Quello che dovrebbe radicalmente cambiare è la gestione. Un fondo così non può chiudere il proprio esercizio annuale con un attivo eccessivo (ripetiamo oltre 53 milioni di euro) sicuramente esuberante rispetto alle somme effettivamente impiegate per le finalità che la legge stabilisce.

 

Si registra con soddisfazione l’accresciuto numero delle misure alternative, ma non c’è una vera analisi delle condizioni di vita sociale e umana che tutte queste persone in esecuzione di una pena e le loro famiglie vivono. In tal modo si corre seriamente il rischio della “radicalizzazione” criminale. Senza l’investimento in programmi di reinserimento non dovremmo meravigliarci se un giorno, spaventati da qualche grave fatto di cronaca, il legislatore scoprisse, paradossalmente, che le misure alternative sono da abolire o restringere severamente.

 

Siamo in tempo di scarse risorse, ma quelle poche che abbiamo non possono essere tenute in cassa o essere utilizzate, forse impropriamente, per finalità che dovrebbero essere finanziate da altre fonti. Per questo motivo alla Cassa delle ammende occorre attingere per attività e progetti che preparino il reinserimento dei condannati detenuti ma anche per sostenere l’auspicato allargamento del ricorso alle misure alternative e di comunità. L’abbandono a se stessi e l’isolamento sociale sono il miglior terreno di coltura di radicalizzazione e reclutamento criminale.

Leggi qui la prima parte

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