Caporalato tra i rider, chiuse le indagini su Uber

Il tribunale di Milano ha chiuso le indagini su Uber Italy, già commissariata per reati finanziari e caporalato con i rider
caporalto Claudio Furlan/LaPresse

Il 29 maggio 2020, il Tribunale di Milano ha stabilito il commissariamento di Uber Italy per caporalato, filiale italiana di Uber, a causa dello sfruttamento e l’approfittamento dello stato di bisogno dei rider con Uber Eats che, attraverso società di intermediazione di manodopera, avrebbe sfruttato dei migranti provenienti da contesti di guerra, richiedenti asilo, residenti di centri di accoglienza temporanei e persone in stato di bisogno.

Nello specifico, una società avrebbe procacciato per conto di Uber Italy dei rider provenienti da zone conflittuali del pianeta (Mali, Nigeria, Costa d’Avorio, Gambia, Guinea, Pakistan, Bangladesh e altri) e la cui vulnerabilità è segnata da anni di guerre e povertà alimentare, caratterizzate anche dal forte isolamento sociale in cui vivono, favorendo l’opportunità di reperire lavoro a bassissimo costo, trattandosi di persone disposte a tutto per sopravvivere, sfruttate e discriminate da datori di lavoro senza scrupoli.

Finalmente Paolo Storari, pubblico ministero del Tribunale di Milano, ha chiuso le indagini per caporalato sui rider per le consegne di cibo a domicilio e reati fiscali di Uber Italy. Secondo Storari, «i riders venivano sottoposti a condizioni di lavoro degradanti, con un regime di sopraffazione retributivo e trattamentale, come riconosciuto dagli stessi dipendenti Uber». I rider sarebbero stati pagati a cottimo 3 euro a consegna e, addirittura, derubati delle mance e puniti.

Tra i dieci indagati figura Gloria Bresciani, manager di Uber Italy. Dalle intercettazioni emerge la sua triste posizione, quando avrebbe detto ad un collega: «davanti a un esterno non dire mai più “abbiamo creato un sistema per disperati”. Anche se lo pensi, i panni sporchi vanno lavati in casa e non fuori”.

La notizia arriva pochi giorni dopo la Giornata mondiale del lavoro dignitoso, celebrata lo scorso 7 ottobre, che quest’anno aveva il tema “Diritti essenziali per lavoratori essenziali”. Ed essenziali, durante i mesi di lockdown, sono stati considerati quei servizi di consegne a domicilio fornite tramite le cosiddette piattaforme di delivery, che hanno raggiunto quella parte della popolazione costretta a restare a casa: I rider hanno consegnato cibi pronti o altri beni muniti delle loro bici e moto, rischiando il contagio nella speranza di garantirsi un introito.

Riconoscere un lavoro dignitoso significa che i datori di lavoro devono rispettare i diritti essenziali dei lavoratori; tra questi un salario dignitoso, posti di lavoro sicuri, assicurazione e congedo per malattia retribuito, rappresentanza sindacale e forme di protezione durante i periodi di crisi.

L’emergenza ha mostrato quanto importante sia il lavoro dei rider, grazie al quale è possibile ricevere cibi pronti o altri beni, ma quanto essi siano l’anello più debole della catena del sistema delle consegne. Sempre durante il lockdown, inoltre, alcune piattaforme hanno esteso le consegne anche ad altri prodotti, come la spesa o il giornale. Del resto, alcune piattaforme hanno attivato dei sistemi di tutela e protezione dei rider proprio durante i mesi di confinamento sociale.

La legge del 2019 prevede che, entro il mese di novembre 2020, le parti collettive dovranno regolare gli aspetti fondamentali di tali rapporti lavorativi, tra cui le tutele assicurative ed i criteri di determinazione del compenso. È necessario pertanto riflettere, senza indugi, su come sia più giusto inquadrare questi lavoratori, i quali al momento sono per lo più autonomi con la partita IVA e molti addirittura senza alcuna copertura contro gli infortuni.

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