Caporalato e lavoro servile, oggi

Le filiere dello sfruttamento nelle nostre economie e l’impegno necessario per la dignità umana. Città Nuova propone oggi, 7 maggio, un approfondimento durante la Settimana mondo unito. A partire dalle 18 sul sito dell'United world project
Donato Fasano - LaPresse

Continua a stupire l’assuefazione, in Italia, nei confronti degli spaventosi ghetti dove in condizioni disumane continuano a vivere migliaia di braccianti agricoli nel tempo sottratto alle lunghe giornate di lavoro. Papa Francesco cerca di risvegliare la coscienza personale con ricorrenti richiami e sollecitazioni.

Nell’udienza generale di mercoledì 6 maggio ha ricordato gli appelli che gli arrivano dai «braccianti agricoli, tra cui molti immigrati, che lavorano nelle campagne italiane. Purtroppo tante volte duramente sfruttati. È vero che c’è crisi per tutti, ma la dignità delle persone va sempre rispettata. Perciò accolgo l’appello di questi lavoratori e di tutti i lavoratori sfruttati e invito a fare della crisi l’occasione per rimettere al centro la dignità della persona e del lavoro». Il giornalista Toni Mira, sul quotidiano Avvenire, racconta giornalmente le vicende che coinvolgono questo popolo di “invisibili”.

A febbraio, presso il ministero del Lavoro, è stato varato un “Piano nazionale triennale contro lo sfruttamento e il caporalato in agricoltura” che prevede tra 10 punti di intervento la «pianificazione e attuazione di soluzioni alloggiative dignitose per i lavoratori del settore agricolo in alternativa a insediamenti spontanei e altri alloggi degradanti». È esplosa, poi, la pandemia da coronavirus con la dichiarazione della quarantena a livello nazionale.

Un caso esemplare di stato di eccezione che permetterebbe ai prefetti, in base ai poteri rafforzati dal Decreto Cura Italia, di requisire le tante strutture vuote e gli alloggi sfitti per dare una sistemazione adeguata a uomini e donne che non hanno, di fatto, la possibilità di rispettare le condizioni igieniche, a cominciare del mancato accesso all’acqua corrente, di distanziamento sociale e uso di dispositivi necessari per evitare la trasmissione del Covid 19.

Questa elementare richiesta fa parte, tra altre necessità, di un appello rivolto al governo, ma finora rimasto senza riscontro, lanciato da Flai Cgil, sindacato dei lavoratori dell’agro-industria, assieme all’associazione Terra! e a tanti esponenti della società civile.

L’altra istanza minima di giustizia riguarda la necessità di regolarizzare tutti i braccianti agricoli stranieri presenti sul nostro territorio perché la loro condizione di precarietà giuridica peggiora la loro possibilità di far rispettare i diritti basilari che devono essere riconosciuti a tutti i lavoratori.

Ma non ci sono solo gli “irregolari” tra i residenti nelle baraccopoli degli invisibili, perché anche coloro che formalmente hanno il permesso di soggiorno e un contratto scritto di lavoro finiscono per percepire una paga effettiva bassissima, insufficiente per poter pagare un pur minimo affitto e da mangiare, oltre a inviare quanto possono alla famiglia rimasta nel loro Paese di provenienza.

Il costo umano

Alla radice resta da debellare il sistema di sfruttamento che permette di coltivare e far viaggiare certi prodotti agricoli ad un gravoso costo umano pagato da certi anelli della filiera per il profitto di alcuni.

Il problema si pone non solo per gli stranieri. La continua contrazione dei diritti e delle condizioni di lavoro è sperimentata da migliaia di lavoratori italiani, che partono da condizioni più stabili, come ha dimostrato il caso tragico della morte, nel 2015, di Paola Clemente, che ha costituito una spinta morale all’approvazione della legge 199 del 2016 di “contrasto ai fenomeni del lavoro nero e dello sfruttamento del lavoro in agricoltura”.

Perno di quella norma è la previsione della “rete del lavoro agricolo di qualità” che il piano triennale del governo prevede di incentivare per aumentare il numero decisamente troppo basso delle imprese agricole aderenti, per arrivare ad una certificazione dei prodotti di qualità sulla trasparenza delle condizioni di lavoro del mercato del lavoro agricolo.

Si resta, quindi, ancora nel sistema degli incentivi e dell’adesione volontaria da parte delle imprese agricole, che sono anche esposte a sanzioni pesanti fino alla confisca in caso di concorso nello sfruttamento lavorativo.

Ma ancora non si è arrivati ad intaccare il potere di dettare il prezzo della merce da parte del grande comparto della distribuzione organizzata che, in questo periodo di lockdown, non hanno vissuto la crisi perché si tratta di attività economiche essenziali non soggette a chiusure.

Bisogna perciò evitare, come precisato dal sindacato, che ogni regolarizzazione dei lavoratori come dei migranti irregolari sia dettata solo dalla convenienza di avere a disposizione una forza lavoro a buon mercato, ma necessaria nella fase più intensa di raccolta dei prodotti agricoli.

Opportunamente l’Asgi, Associazione studi giuridici sull’immigrazione, assieme a tante realtà associative tra le quali il Movimento dei Focolari, ha chiesto di non limitare la proposta di regolarizzazione per un primo periodo di un anno esclusivamente «a determinati settori produttivi, che rispondono alla sola esigenza di utilizzo di manodopera ove più forte è lo sfruttamento lavorativo», ma di estenderla «a tutti/e coloro che vivono in Italia in condizioni di irregolarità o di precarietà giuridica e che attraverso il permesso di soggiorno, per lavoro o per attesa occupazione, possono emergere come persone e non solo come manodopera. Soggetti di diritti e non solo braccia per il lavoro».

Includere anche il caso dell’attesa e ricerca di occupazione permette di svincolare «la persona straniera da possibili ricatti o dal mercato dei contratti che hanno contraddistinto tutte le pregresse regolarizzazioni».

Tale scelta è stata compiuta in Portogallo, dove esiste un clima di collaborazione tra maggioranza e opposizione davanti all’evidenza che in questo momento di pandemia è necessario, per la salute di tutti, far emergere chi finora è considerato “invisibile” per poterlo includere nel sistema dei diritti e «nei percorsi sanitari di prevenzione, diagnosi e cura».

Il decreto Maggio

Il clima politico italiano si sta presentando, invece, molto frazionato, anche all’interno della maggioranza di governo, davanti alla decisione di regolarizzare 600 mila persone, tra le quali si calcola che i soli braccianti siano 200 mila, mentre colf e badanti raggiungerebbero il numero di 100 mila unità.

Il “decreto maggio”, tanto atteso, che impegnerà 55 miliardi di euro per la fase 2, è chiamato a prendere anche tale decisione fondamentale. Tenendo presente che, come afferma Oliviero Forti della Caritas, «la procedura di regolarizzazione non avviene in un giorno. Servono anche una serie di misure a sostegno, a partire dal superamento dei ghetti, come politiche abitative territoriali e altre misure di sostegno per dare a queste persone una dignità a 360 gradi. Sarebbe un bel contributo per combattere la criminalità e le altre forme di sfruttamento e abusi perché sappiamo che la criminalità si muove sempre nel torbido».

caporalato-e-lavoro-servileL’appuntamento del 7 maggio dalle ore 18 alle 19.30 (Caporalato e lavoro servile), con il collegamento della Settimana Mondo Unito vuole essere, dentro l’attualità di questi giorni, un contributo di Città Nuova a sostegno dell’impegno plurale per una società più giusta. Assieme a Adriana Cosseddu, giurista, Giuseppe Gatti, magistrato Direzione nazionale antimafia, Jean René Bilongo, sindacalista Flai Cgil.
Un percorso per arrivare a cambiare le cause che determinano il prodursi di gravi offese alla dignità umana, il ritorno a nuove forme di lavoro servile e il dominio delle mafie.

Per approfondire cfr il libro di Città Nuova Spezzare le catente. Un lavoro libero tra centri commerciali e caporalato

Video dell’incontro su caporalato e lavoro servile

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