Camminare insieme con i martiri dell’Amazzonia

«Per loro, per questi che stanno dando la vita adesso, per quelli che hanno speso la propria vita, con loro, camminiamo insieme». Il papa apre il Sinodo per l’Amazzonia nella basilica di San Pietro.

«Tanti fratelli e sorelle in Amazzonia portano croci pesanti e attendono la consolazione liberante del Vangelo, la carezza d’amore della Chiesa. Tanti fratelli e sorelle in Amazzonia hanno speso la loro vita».

«Per loro, per questi che stanno dando la vita adesso, per quelli che hanno speso la propria vita, con loro, camminiamo insieme». Papa Francesco apre il Sinodo Amazonico sul tema: «Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale» pensando a chi è sempre nell’«amore umile» ed è capace di perdere la propria vita per amore della propria gente. Non distingue tra Cielo e Terra ma traccia un filo invisibile che senza soluzione di continuità lega il visibile con l’invisibile. E non fa distinzioni tra i martiri di ieri e quelli di oggi.

«Camminiamo insieme», è il significato della parola Sinodo, con i tanti missionari martiri, disseminati nei cimiteri dell’Amazzonia che hanno speso la propria vita per annunciare il Vangelo in condizioni estreme. Arrivavano giovani, poco dopo gli studi, sotto i 30 anni e sapevano che la loro aspettativa di vita era breve, 2 o 3 anni. Non si sono tirati indietro, hanno vissuto la loro vita in pienezza per portare il Vangelo, vivendo l’inculturazione in 390 popoli indigeni che si esprimono in 330 lingue diverse, metà delle quali parlate da meno di 500 persone.

«Annunciare il Vangelo» ‒ il vero tema del Sinodo ‒ «è vivere l’offerta, è testimoniare fino in fondo, è farsi tutto per tutti, è amare fino al martirio». E ricorda come nel Collegio cardinalizio ci siano alcuni cardinali martiri. Forse pensa al cardinale Ernest Simoni, arcivescovo di Scutari in Albania. Considerato un “nemico del popolo” ai tempi della dittatura comunista di Enver Hoxha, è stato arrestato nella notte di Natale del 1963, mentre celebrava la messa a Barbullush, e confinato in una cella d’isolamento con una condanna a diciotto anni. Si riferisce certamente anche al nuovo cardinale Sigitas Tamkevičius, arcivescovo emerito di Kaunas in Lituania, imprigionato dal Kgb e condannato ai lavori forzati e all’esilio in Siberia e ai tanti cardinali martiri della carità impegnati nelle varie periferie esistenziali del mondo.

È una bella omelia, ispirata, pronunciata con tono intenso e voce profonda. Il papa sposta ancora l’attenzione sulle periferie del mondo, cambia il punto di vista, preferisce occuparsi di 3 milioni di indigeni per guardare la Chiesa intera dalla loro prospettiva. Distingue il «fuoco di Dio», «fuoco d’amore che illumina, riscalda e dà vita, non fuoco che divampa e divora». Come i recenti 80 mila incendi estivi in tutta l’Amazzonia frutto dell’«avidità dei nuovi colonialismi» e di «interessi che distruggono».

Il fuoco che vuole portare il papa in Amazzonia è sostanziato di «prudenza audace», che «non si confonde con la timidezza e la paura», non è indecisione, né atteggiamento difensivo, «è il contrario di lasciar andare avanti le cose senza far nulla». Occorre «rinnovare i cammini» lasciandosi ispirare da Dio, l’unico che «fa nuove tutte le cose». Un Sinodo arduo, coraggioso, un invito a rimettere in discussione confini, prospettive e categorie applicate ad un territorio circoscritto ma valide sul piano globale.

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