Cambiamo il governo delle imprese e delle banche

Ci sono evidentemente alcuni imprenditori e manager che attribuiscono un valore intrinseco alla correttezza e all’etica; ma quando i proprietari delle imprese sono sempre più fondi di investimento e grandi banche, è difficile trovare un volto umano e una coscienza dietro scelte o decisioni. Editoriale da Città Nuova n. 1/2016
Foto di una banca

L’economia di mercato ha generato autentici miracoli, ma oggi deve cambiare se vuole salvarsi. Ha permesso a persone sconosciute di incontrarsi in modi pacifici e costruttivi, di conoscerci e “parlarci” scambiando le nostre merci. Ha riempito il mondo di colori, di una infinità di beni. Ha amplificato la biodiversità culturale del pianeta. Potenziando al massimo la libertà e la creatività degli individui, ha moltiplicato la ricchezza dando vita alla più grande cooperazione della storia umana.

Dietro l’atto più semplice che svolgiamo nelle nostre città – accendere la luce della stanza, acquistare un gelato – c’è la cooperazione implicita di migliaia, a volte milioni di persone che lavorano per noi senza saperlo né volerlo.

Per mesi ho visto venditori offrire per strada lunghi utensili ai turisti, un giorno ho capito che erano prolunghe per scattare “selfie”. Il mercato soddisfa i nostri bisogni il secondo dopo che li avvertiamo – a volte un secondo prima.

Questo lato solare dell’economia di mercato è visibile a tutti. Ma ci sono anche lati oscuri o neri. Basti pensare al business delle armi nelle tante guerre, alimentate e indotte dagli interessi economici dei governi e delle industrie occidentali. Non dobbiamo dimenticarlo, mentre continuiamo a piangere per Parigi, Beirut, Siria, per i bambini degli altri uccisi da armi prodotte accanto alle nostre case, nel nostro silenzio.

Il mercato non riesce a correggere i suoi effetti collaterali peggiori. Sa ormai correggere i suoi piccoli danni, non quelli grandi. Se non avessimo gli Stati, le istituzioni e la società civile a costringere le imprese a ridurre le emissioni nocive per l’ambiente, a riconoscere diritti ai lavoratori, a non nascondere difetti (quasi) invisibili dei loro prodotti, le imprese implementerebbero soltanto quelle pratiche immediatamente traducibili in maggiori profitti perché facilmente riconoscibili dai clienti, e utili alla loro reputazione. Nel mercato ci sono evidentemente alcuni imprenditori e manager che attribuiscono un valore intrinseco alla correttezza e all’etica; ma in una economia globalizzata dove i proprietari delle imprese sono sempre più fondi di investimento e grandi banche, è sempre più difficile cercare e trovare un volto umano e una coscienza dietro le scelte e le decisioni.

Ecco perché le moderne democrazie hanno sempre assegnato e assegnano alle istituzioni il compito di controllare e regolamentare l’agire delle imprese. Il mercato vero non è mai stato solo mercato, ma un intreccio di molti attori, di controllori e di controllati.

Questa divisione dei compiti su cui abbiamo costruito le democrazie nei due secoli passati, oggi però è in profonda crisi. Non possiamo più accettare che le imprese agiscano rispondendo solo a proprietari e ai consumatori e che la legge le regoli e controlli. Le imprese e ancor più le istituzioni finanziarie sono diventate troppo grandi, ricche, globali e potenti per pensare di poterle controllarle dal di fuori e alla fine.

C’è bisogno di un radicale cambiamento interno: le istituzioni devono usare la forza che ancora hanno per chiedere alle grandi imprese e banche globali di cambiare il loro governo. Non devono più essere gestite da consigli di amministrazione scelti soltanto dai loro proprietari. Sono diventate troppo importanti per la vita di tutti, e i lavoratori, la società civile, rappresentanti indipendenti degli interessi dei più poveri devono essere inseriti nei loro CDA e poter contare nelle scelte ordinarie di governo.

In tutte le grandi imprese e banche ci deve essere un “comitato etico” indipendente con poteri effettivi. L’economia è diventata troppo importante per lasciarla solo a economisti, finanzieri, azionisti. Nemmeno i consumatori col loro “voto del portafoglio” sono sufficienti: ci sono troppe persone condizionate dalle scelte delle imprese che non “votano” perché poveri o troppo lontani.

E perché ci sono industrie (armi o azzardo) dove chi protesta non può votare perché non compra. L’economia di mercato e la democrazia non si salveranno senza una vera democrazia economica.

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