Cagliari: un carico di armi e la nostra sovranità

Sosta imprevista di una nave cargo saudita nel porto sardo, vicino al sito di produzione delle bombe usate nella guerra in Yemen. Appello delle associazioni ai portuali: «Seguite l’esempio di Genova».
Guerra Yemen

Il rifiuto dei portuali di Genova, come quelli di Marsiglia, di prestarsi ad operazioni di carico e scarico di armi sulle navi saudite, vale più di mille comunicati e dichiarazioni.

La scelta dei lavoratori genovesi, sostenuti da una vasta rete di associazioni e da un ordine del giorno unanime del consiglio regionale, è di certo una novità assoluta di questi tempi. Non si poteva, tuttavia, immaginare che le rotte commerciali degli armamenti, che attraversano il nostro Paese come una sorta di nastro trasportatore verso il Medio Oriente e l’Africa, potessero chiudersi una volta per tutte.

E così, come avverte una nota di Rete Disarmo delle 4 del mattino di venerdì 31 maggio 2019, arriva la notizia dell’arrivo della nave cargo saudita Bahri Tabuk nel golfo di Cagliari puntando verso il porto del capoluogo della Sardegna. Si tratta di una sosta, inizialmente non dichiarata, di un percorso che dal porto di porto di Marsiglia-Fos doveva fare la prima tappa ad Alessandria d’Egitto.

Come è noto, Cagliari è un nodo importante per l’imbarco della produzione delle bombe allestite dalla Rwm Italia nello stabilimento di Domusnovas.

Proprio in questi giorni le associazioni locali, che lavorano per una riconversione integrale del territorio, stanno tenendo una serie di significative iniziative culturali, mentre il comune di Cagliari ha già votato la “Mozione Assisi” per lo stop alla fornitura di armi destinate alla disastrosa guerra yemenita e il finanziamento di percorsi di riconversione economia del territorio.

Non si conosce l’intenzione di ciò che vorrà e potrà fare l’ente locale che ora si trova in piena campagna elettorale per le elezioni del sindaco prevista a giugno.

Anche la chiesa sarda con una lettera aperta a tutto gli abitanti dell’Isola ha preso una posizione inusitata di rifiuto del ricatto occupazionale costituito dalla produzione bellica dell’azienda italiana controllata dal gigante tedesco Rheinmetall Defence.

Gli “azionisti critici” di Banca etica e della Banca cattolica tedesca sono anche intervenuti nell’assemblea della multinazionale germanica per evidenziare la contraddizione tra la scelta tedesca di non inviare armi in Arabia Saudita dai porti e aeroporti teutonici, salvo poi delocalizzare tale attività alle filiali e consociate degli altri Paesi.

Gli amministratori e i soci della Rheinmetall sono rimasti indifferenti a tali richiami, mentre gli attivisti pacifisti di altre organizzazioni, che hanno cercato di palesare il loro dissenso, sono stati allontanati con la forza dalla vigilanza privata.

Come ribadisce Rete Disarmo, «le bombe di produzione italiana non devono essere più trasferite nell’area di conflitto, concretizzando una vendita che è chiaramente contraria ai dettami e principi della norme nazionali (Legge 185/90), europee (Posizione Comune del 2008) e globali (il Trattato ATT) sull’export di armi».

Da diverse parti sale l’appello «ai lavoratori portuali di Cagliari affinché seguano l’esempio recente dei collegi di Genova e di altri porti europei rifiutando di prestare la propria opera a vantaggio di questo commercio sanguinoso».

Una richiesta che parte dalla constatazione che, purtroppo, nulla si muove a livello di esecutivo nazionale nonostante la presenza, nel contratto di governo, dell’impegno a fermare la fornitura di armi ai Paesi in guerra.

Un caso emblematico di carenza di sovranità che si affida alla coscienza dei lavoratori, se come dice l’articolo 1 della Costituzione l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.

 

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