Caccia F35 e difesa europea

A proposito della nuova campagna di pressione per ridiscutere le scelte di bilancio in materia di politica economica ed estera
Max Faulkner/Star-Telegram via AP

È ripartita ad aprile 2019 la campagna di pressione contro l’acquisto dei caccia bombardieri Jsf35. L’iniziativa è collegata alla elaborazione della prossimo legge di bilancio e punta a fermare la procedura di acquisto dei potenti mezzi della statunitense Lockheed Martin per destinare gli importi equivalenti ad altri usi come la difesa del territorio, il rilancio di politiche per il lavoro e il welfare.

Per una lettura della complessità della vicenda F35 in questo momento storico abbiamo sentito, per una visone a tutto campo, il professor Maurizio Simoncelli dell’Istituto ricerche internazionali Archivio Disarmo.

Le ormai prossime elezioni europee coincidono con i 70 anni della Nato e la ricorrenza dei 20 anni, nel 1999, del bombardamento di Belgrado anche da parte dell’Italia. Secondo Romano Prodi, un padre dell’Europa come De Gasperi morì di crepacuore dopo il fallimento della costituzione di un esercito europeo nel 1954. È ancora possibile una politica di difesa europea? In che modo? Quali sono gli ostacoli?
La costituzione da parte statunitense dell’Alleanza Atlantica con la sua organizzazione militare nel 1949, seguita poi da quella del Patto di Varsavia da parte dell’URSS nel 1955, rappresentarono i due pilastri della guerra fredda. Se il Patto di Varsavia si è sciolto poi nel 1991, la NATO sopravvive ancora e rappresenta di fatto oggi un elemento ostativo alla possibilità di una vera politica europea. L’indiscussa leadership statunitense non ne è il solo impedimento: la permanenza del nazionalismo (per alcuni definito sovranismo) in questo settore è evidente nella stragrande maggioranza dei paesi membri dell’UE. Non si può parlare di politica della difesa se essa non è connessa alla politica estera e in tale ambito si è vista negli anni una molteplicità di iniziative unilaterali che hanno minato tali prospettive.

Quali sono i fatti recenti più eclatanti?
Basta ricordare la guerra scatenata contro Gheddafi dalla Francia e dalla Gran Bretagna, con il supporto statunitense, a cui si accodò poi anche l’Italia. O le trattative circa l’Ucraina gestite con la Russia da Parigi e Berlino, emarginando di fatto il ruolo istituzionale di Federica Mogherini, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Né va dimenticata la pluridecennale riluttanza britannica, che poi si è concretizzata della scelta della Brexit. In questi giorni rileviamo l’ambiguo ruolo francese con il generale Haftar nella crisi libica.

E cosa ha fatto l’Unione europea?
L’UE tra il 2016 e il 2018 ha cercato di ridefinire il proprio approccio verso la Politica di Sicurezza e Difesa Comune (PSDC), con una rinnovata visione strategica e con diversi provvedimenti volti a rafforzare il settore produttivo della difesa, ma di fatto di un esercito europeo non se ne vedono le tracce, mentre sono rilevanti i finanziamenti alle industrie del settore attraverso il Piano di azione europeo per la difesa. Insomma una forza armata comunitaria sarebbe di fatto alternativa alla NATO e questo comporterebbe un radicale cambiamento degli equilibri non solo tra le due sponde dell’Atlantico, ma anche all’interno dei paesi della stessa UE, di fatto ancora gelosamente legati alle loro autonomie in tale ambito.

Cosa si pone, dunque, in tale contesto la commessa degli F35?
Come noto, il cacciabombardiere di quinta generazione F35 della statunitense Lockheed Martin sarà il velivolo più costoso della storia dell’aeronautica militare e gli Stati Uniti hanno cercato di far fronte a tale gravoso impegno economico coinvolgendo altri Paesi amici, senza peraltro condividerne le conoscenze tecnologiche avanzate (per cui si sarà sempre dipendenti da oltreoceano). Per l’Italia non solo è un rilevante fardello economico (14 miliardi, di cui 4 già spesi), ma rappresenta anche una sudditanza tecnologica nei confronti dell’alleato americano a scapito di una collaborazione in ambito europeo.

In che senso?
Di fatto gli alleati dotati di queste nuove armi rimarranno sempre condizionati politicamente e operativamente dal governo USA nell’uso di questi aerei. Essi, inoltre, hanno capacità stealth – ridotta visibilità ai radar – e raggio d’azione quasi doppio (1.080 km) rispetto agli aerei attualmente predisposti all’uso delle bombe nucleari tattiche B61 (Tornado e F16). Questo rappresenta ovviamente un aumento della potenziale minaccia che è rivolta verso la Russia, deteriorando ulteriormente il clima di sfiducia e di sospetto tra Est ed Ovest che ormai domina la seconda guerra fredda e che da anni non vede più avviati colloqui tra le parti, ma solo reciproche accuse.

Per approfondimenti cfr Dossier Disarmo edito da Città Nuova

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