Buddhisti-cristiani, un salto in avanti

Intervista a mons. Andrew Vassanu, sottosegretario del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso
Simposio

Mons. Andrew Vissanu Thaya-anan, thailandese, è tornato nella sua terra d’origine per seguire i lavori del quarto simposio buddhista-cristiano. Oltre 200 i delegati provenienti da venti Paesi dell’Asia e dell’Europa, che hanno riflettuto sul tema Dharma, Compassione ed Agape nel mondo contemporaneo”, con un significativo sottotitolo: “La risposta delle religioni alle sfide del mondo globabilizzato”.

 

Il convegno s’è svolto a Chiang Mai, nel nord del Paese, dal 1 al 5 febbraio, ed è stato organizzato dall’università buddhista Mahachulalongkorn Rajavidyalay, in collaborazione con i Focolari e la Rissho Kosei-Kai, un movimento laico buddhista giapponese. Prima del suo rientro a Roma, abbiamo incontrato mons. Vassanu

 

Nel simposio appena concluso ha intravisto qualche novità?

«Ho notato subito delle novità. Come lei immagina, partecipo molto spesso a conferenze e convegni, ma il simposio è stato diverso per apertura, capacità d’ascolto, stima reciproca ed un clima accogliente, molto familiare, oltre ad un contenuto ricco

».

 

Che tipo di contenuti?

«Un contenuto semplice e profondo allo stesso tempo, perché non è frutto unicamente della riflessione degli specialisti, ma attinge alla vita maturata non solo nei precedenti tre simposi ma anche e soprattutto nelle relazioni e collaborazioni tra i cristiani e i buddisti che hanno preparato l’appuntamento. Ecco perché vedo molte novità. E posso affermare che nel cammino del dialogo interreligioso il convegno appena terminato costituisce non solo un passo in avanti ma un salto vero e proprio

».

 

Addirittura un salto?

«Sì, un salto importante. Basti pensare all’intervento della presidente dei Focolari , quando ha spiegato la teologia della sofferenza parlando di Cristo abbandonato. Guardi che quel punto non è mica facile da far capire teoreticamente. Eppure, quando ho parlato con alcuni partecipanti buddhisti mi hanno detto di aver intuito qualcosa. Non è poco, mi creda, se qualcuno incomincia a capire il significato cristiano della sofferenza. L’altro giorno il monaco buddhista conosciuto come Luce Ardente ha riferito come tra i buddhisti c’è una paura reale della croce, nessuno vuole vedere o parlare di questo segno, perché dicono che è un’immagine terribile, un segno criminale che non si può né vedere, né toccare. Insomma, una visione totalmente negativa

».

 

Comprensibile, no?

«Certo, anche tra noi cristiani non è facile capire il mistero di Cristo sulla croce, il Cristo abbandonato. Ho parlato anche con il dott. Shanta Premawardhane, battista, direttore dell’ufficio per le Relazioni con religioni e culture del Consiglio mondiale delle Chiese. E’ anche un predicatore e mi ha comunicato la sua sorpresa quando ha sentito parlare dell’abbandono di Gesù

».

 

Il fatto che il simposio sia stato voluto dal grande maestro buddhista Ajahn Thong rivela allora la portata delle prospettive che si sono aperte?

«E’ un salto in avanti di grande valore. E chi è nato qui, come me, ne coglie di più il significato. Mia mamma è una convinta buddista, i miei parenti sono buddisti. So bene che, anche a motivo degli insegnamenti nel passato, tra buddhisti e cristiani s’è creato un piccolo muro, ci sono state incomprensioni per assenza di comunicazione, perché è mancato il dialogo tra le due parti. Allora regna il sospetto, per il solo fatto che non si sa cosa pensi l’altro

».

 

Meno male, allora, che l’appuntamento non s’è tenuto in Europa.

«Un convegno così aiuta molto la conoscenza. Pensi che un rappresentante ufficiale del governo presente al simposio è venuto a manifestarmi la sua sorpresa per le tante cose importanti ascoltate. Ma mi ha pure detto che non possono restare solo tra i partecipanti, che bisogna farle sapere a tutti, che vanno sensibilizzati i mezzi di comunicazione, mentre invece erano presenti pochissimi media. Si tratta perciò di estendere l’invito a tanti in modo che i contenuti possano arrivare ad un vasto pubblico

».

 

Preziosa, comunque, la presenza di giovani delle due religioni, monaci compresi.

«Da parte del Santo Padre c’è molta attenzione al fatto che questi convegni e conferenze per il dialogo possano vedere coinvolte le nuove generazioni, soprattutto i giovani studenti. Nelle classi ormai ci sono studenti di fedi religiose. Ma c’è da chiedersi come riuscire a comprendere bene la novità. Questo è un punto importante. Con l’immigrazione i vescovi si interrogano su cosa fare, se e come mettersi in rapporto con musulmani e buddhisti. Ecco perché ritengo importante condividere esperienze. Per le nuove generazioni è perciò cruciale la formazione e il prossimo simposio può guardare a questa prospettiva

».

 

Il simposio ha visto un ruolo prevalente svolto dai laici. Cosa può significare per lo sviluppo del dialogo con i buddhisti?

«Credo che sia molto importante, perché la mentalità orientale mette molto in rilievo la figura dei monaci, dei sacerdoti e delle persone consacrate. Hanno grande influenza e un ruolo rilevante. Ma sono i laici ad essere in prima linea nella loro vita di tutti i giorni, chiamati a testimoniare la loro fede. Per questo motivo è determinante valorizzare, formare e sostenere i laici, mettendo in luce la loro dignità di figli di Dio. Si pensi solo alle risposte che essi possono dare come coniugi a tutti i problemi delle famiglie. Non basta più andare dal monaco o dal parroco. I laici posso offrire un contributo insostituibile ai rapporti interreligiosi con un vero dialogo della vita

».

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