Brescia, il virus e l’atomica

Perché una terra segnata duramente dall’espandersi della pandemia rappresenta l’esempio di una nuova consapevolezza civile nella memoria della Liberazione. Iniziativa del Movimento dei Focolari Italia il 24 aprile in collegamento da Brescia dalle ore 19
B61 Nuclear bomb Kellw Michals National Museum of the US Air Force

Il contagio del virus ha colpito forte Brescia, epicentro di quell’area estesa del lombardo veneto che esprime il cuore produttivo del Paese. Una terra di grandi tradizioni bancarie, industriali, operaie, con una presenza forte della comunità cristiana.

Da questa storia proviene l’esperienza dei “ribelli per amore”, i partigiani cattolici che attraversarono la tragedia del crollo del Paese nel 1943 opponendosi al dominio nazifascista ripudiando la logica dell’odio. Un percorso che ha solide radici e continue fioriture nel tessuto della società civile che si trova a fare i conti, da tanto tempo, con la contraddizione della presenza di un grande settore produttivo delle armi.
In una di queste valli ha sede, attingendo a tradizioni antiche, la Beretta, nota in tutto il mondo per le sue armi cosiddette “leggere”. In un paese della provincia (Ghedi) si trova la sede centrale della Rwm, azienda controllata dai tedeschi della Rheinmetall, produttrice delle bombe Mk80 destinate anche ai sauditi impegnati nella guerra in Yemen.

A Ghedi si trova, anche, una base militare Usa che ospita decine di ordigni atomici, adatti ad essere montati sui caccia bombardieri F35. Gli aerei rappresentano una commessa controversa che vede l’Italia schierata nel progetto internazionale che rimanda alla statunitense Lockheed Martin.

Il nostro Paese non ha aderito al trattato del 2017 per la messa al bando delle bombe nucleari. Ma anche in base a quello vigente, di contrasto alla proliferazione nucleare, esistono fondate ragioni per rimuovere gli ordigni atomici dal nostro territorio.

C’è da dire che la presenza dell’ombrello atomico è stato, di fatto, accettato, come sottolineano una serie di articoli della Civiltà Cattolica, anche grazie alla tesi, prevalente in ambito teologico morale, della dottrina della deterrenza nucleare.

Una linea completamente ribaltata da papa Francesco che ha condannato, in diverse occasioni, non solo l’utilizzo ma anche il semplice possesso delle armi nucleari. La Santa Sede è emblematicamente la  prima firmataria del trattato sull’abolizione delle armi atomiche e il Vaticano ha promosso e ospitato, nel 2017, un simposio mondiale per dare spazio al dialogo tra la società civile, scienziati e rappresentati di stati e alleanze militari.
Non se ne parla mai abbastanza per non procurare panico,  ma l’oggetto del contendere è oggi tra chi ritiene possibile l’uso dell’arma atomica in maniera limitata, accarezzando la tentazione di sferrare il primo colpo senza subire conseguenze, e coloro i quali ribadiscono che lo strumento atomico resta senza controllo possibile nelle sue conseguenze micidiali.

Anche perché l’accesso a tale arma è così incontrollato che la Federazione degli scienziati americani avvisano continuamente dell’avvicinarsi del momento di non ritorno (la cosiddetta mezzanotte atomica). Sono convinti della necessità di arrivare al bando totale delle armi atomiche non solo i soliti pacifisti di ogni specie ma anche politici di spessore internazionale ed espressione della linea “realista”.

Nel bresciano esiste un gruppo esteso di sindaci che sostengono la campagna per l’adesione dell’Italia al trattato per l’abolizione delle armi nucleari, in collegamento con Lisa Clark che è la referente in Italia della rete Ican, Nobel per la pace 2017.
Tra questi sindaci troviamo Antonio Trebeschi, primo cittadino di Colle Beato, espressione di una lunga e feconda storia familiare che risale al nonno Andrea, deportato e ucciso nel 1944 a Dachau quale esponente di punta dell’antifascismo cattolico.
La ricchezza civile di questa parte della Lombardia trova l’esempio più eclatante nella leggendaria azione delle lavoratrici della Valsella, a partire da Franca Faita, che riuscirono a far chiudere una fabbrica di mine anti uomo per riconvertirla ad usi civili.

Si tratta di una pagina gloriosa per il nostro Paese perché il movimento spontaneo e deciso degli operai e, soprattutto, delle operaie bresciane ha concorso all’adozione, nel 1999, della Convenzione internazionale di Ottawa per “la proibizione in tutto il mondo dell’uso, stoccaggio, produzione e vendita delle mine antiuomo e per la distruzione di quelle inesplose”.
Una convenzione che ha permesso la distruzione nel mondo, finora, di 55 milioni di scorte di mine, anche se ne restano almeno altre 50 milioni inesplose, molte di fabbricazione italiana, e ancora 31 Paesi (tra cui Usa, Cina, Russia e Arabia Saudita) si rifiutano di firmare l’accordo.
L’Italia avrebbe risorse e competenze per promuovere attività specialistiche nel settore dello sminamento. Attività, come si comprende, richiesta nel mondo. Ma il più grande gruppo industriale nazionale del settore a partecipazione pubblica, Leonardo Finmeccanica, ha orientato investimenti e linee di produzione nella filiera bellica, come i già citati F35.
E proprio davanti alla sede locale di questa industria, nel pieno dell’emergenza Coronavirus, si è recato don Fabio Corazzina, parroco bresciano da sempre conosciuto per il suo impegno trasparente per la pace e gli ultimi, trasmettendo un video che ha totalizzato migliaia di visualizzazioni.

Corazzina ha invitato a riconoscere che è questo il tempo di trasformare le spade i aratri. È anche quello che appare evidente in tanti studi e analisi che insistono sulla necessità di investire in attività necessarie per la riconversione economica in senso ecologico e cura di un mondo altrimenti avviato all’autodistruzione.

È con questi testimoni che si pone il collegamento promosso dal Movimento dei Focolari Italia il 24 aprile 2020, giorno della vigilia dei 75 anni dal 25 aprile 1945. Per capire l’esito possibile di un Liberazione che resta da scrivere affondando nelle giuste radici.

Come ha scritto, in “Chiesa e capitalismo,  Giovanni Bazoli, assieme al grande giurista tedesco  Ernst-Wolfgang Böckenförde, dopo l’inizio della grande crisi del 2008, «l’ethos strutturale delle democrazie moderne include il riconoscimento del prossimo come persona e conseguentemente sancisce una necessaria correlazione tra diritti di libertà e doveri di solidarietà».

È venuto il tempo per capire, a partire da questa consapevolezza di un bresciano molto noto, dove abbiamo continuato a sbagliare, anche dopo quella crisi finanziaria di 12 anni addietro. E capire come cambiare rotta prima che sia troppo tardi.

qui il link per seguire l’evento in diretta

 

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