Brasile: una tormenta perfetta

Recessione galoppante, inflazione al 10%, popolarità a picco e uno scandalo per corruzione di proporzioni enormi hanno portato alla sospensione del mandato della presidente Rousseff, insieme a una poca dimestichezza ad amministrare le crisi. Il Senato ha votato a favore del processo di impeachment e avrà 6 mesi per destituire o meno la presidente. Il suo vice ne assume ad interim le funzioni
Dilma Rousseff

Il voto col quale il Senato brasiliano ha momentaneamente sospeso la presidente Dilma Rousseff dalle sue funzioni è un annuncio di quanto potrà accadere quando si giungerà alla votazione definitiva. Era necessaria la maggioranza semplice degli 81 senatori per decidere se avanzare o no nel processo di impeachment, 41 voti, hanno votato a favore 55. Un voto in più dei 54 necessari (ossia, i due terzi dei senatori) per destituirla definitivamente.

 

Il Senato avrà ora a disposizione un massimo di 180 giorni per pronunciarsi se crede che la presidente sia incorsa nel “delitto di responsabilità”, nel truccare il bilancio spostando all’anno successivo voci di spesa dall’esercizio 2014, quando era in corso la campagna elettorale per la sua rielezione, facendo uso di fondi prestati dalle banche pubbliche per rendere meno cospicuo il deficit di gestione. Questa è l’imputazione che ha determinato la clamorosa situazione che la manda momentaneamente a casa, spogliata del potere conferitole meno di due anni fa. Rousseff non è imputata per il colossale scandalo per curruzione scoppiato intorno alla statale petrolifera Petrobras, né finora la giustizia ha potuto dimostrare che ne fosse al corrente.

 

Paradossalmente, non possono dire lo stesso coloro che hanno promosso il processo nei suoi confronti. A cominciare dal suo più acerrimo nemico, il presidente dei deputati Eduardo Cunha, che lo ha messo in moto per poi essere destituito per le gravissime imputazioni nei suoi confronti: corruzione e riciclaggio di denaro, corredati da uno stile di vita faraonico non concorde con le entrate dichiarate e vari milioni di dollari depositati all’estero. Ma anche il presidente del Senato che la giudicherà, Renan Calheiros, e il vicepresidente, oggi presidente ad interim, Michel Temer, sembra che difficilmente potranno eludere gli effetti delle indagini nei loro confronti. 

 

In realtà, sono pochi gli analisti che credono che la vera ragione dell’impeachment sia il capo d’imputazione. In quanto a considerarlo un delitto, le acque sono divise, con una propensione a credere che si tratti di una irregolarità amministrativa che non giustifica la destituzione. È di questo avviso, ad esempio, la Corte Interamericana dei Diritti Umani. La vera colpa di Rousseff è la sua impopolarità accellerata dalla vertiginosa crisi economica che ha prodotto una delle più gravi recessioni in questi decenni. Il Pil retrocederà quest’anno intorno al 3,8%. L’inflazione è ormai al 10%, mentre la disocupazione cresce anch’essa in modo accellerato: 1,2 milioni di posti di lavoro persi negli ultimi mesi.

 

La presidente sospesa ha dimostrato scarsa abilità politica, perdendo l’appoggio dei due rami del Parlamento, reagendo con poca creatività politica di fronte a una crisi affrontata facendo esattamente il contrario di quanto annunciato durante la campagna elettorale. L’occhiolino ai settori di centrodestra, inizialmente sedotti con l’invito a partecipare all’alleanza di governo, ha perso il suo fascino via via che si è aggravata la retrocessione economica. Nel giro di poche settimane gli alleati fedeli si sono trasformati in giudici implacabili. Rousseff non possiede né la capacità né il carisma del suo predecessore, Inacio Lula da Silva. La sua lentezza di riflessi e la sua rigidità sono apparse chiare ai mercati finanziari, ai poderosi settori industriali collusi con i grandi gruppi dei media che hanno stigmatizzato il capro espiatorio perfetto. In altri tempi, avremmo assistito a disordini nelle piazze e magari avremmo visto apparire per le strade i blindati e una giunta di militari occupare il potere. Oggi si usa la valvola di sfogo dell’impeachment, possibilmente, forzando lo spirito della legge. Le reazioni popolari ci sono, ma principalmente si protesta contro la corruzione e si chiede una democrazia di migliore qualità. Il che significa che 30 anni di democrazia non sono trascorsi invano.

 

Michel Temer ha già presentato il suo gabinetto. Sarà presidente in esercizio fino al voto definitivo del Senato, che probabilmente sarà a ottobre. Nel caso di una destituzione definitiva, restarà in carica fino alla fine del mandato, nel dicembre del 2018. La sua preoccupazione principale sarà quella di capeggiare la recessione e di ordinare la spesa pubblica. Il suo programma è stato salutato con entusiasmo, ma suscita preoccupazione tra i settori che in questi anni hanno visto allontanarsi lo spettro della povertà.

 

Appare chiaro che la stabilità democratica non può fare unicamente conto sul vento in poppa dell’economia. Alla prima tempesta, la popolarità sparisce e sorge il problema politico non risolto di come amministrarla. La congiunzione di questa realtà insieme a un livello preoccupante di corruzione negli ingranaggi dello Stato si è trasformata per il Brasile in una tormenta perfetta. Accompagnata dal limite del regime presidenzialista che non prevede il caso di elezioni anticipate, che forse avrebbe potuto evitare il paradosso di mettere il governo in mano delle opposizioni, sospendendo il mandato assegnato da 54 milioni di persone che hanno votato per Rousseff. Questa crisi indica una agenda di lavoro intensa. In materia morale, per andare alle radici della corruzione, e in materia istituzionale per adeguare ai nuovi tempi un sistema democratico, segnato da un'elevata frammentazione politica. La politica ha dimostrato che non potrà farlo da sola. L’economia ha dimostrato che è mossa soprattutto dagli interessi dei più forti. La palla è nel campo della società civile.

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