Braccianti in sciopero e boicottaggio delle merci

Una parte del sindacato critica la modalità della regolarizzazione dei lavoratori stranieri avvenuta con il decreto “Rilancio” e invita ad astenersi dal comprare frutta e verdura per un giorno. Le questioni in gioco e il peso della Grande distribuzione organizzata
FB Aboubakar Soumahoro

Parte del mondo del sindacato dei braccianti ha indetto, per il 21 maggio, uno sciopero generale. Come sempre il problema endemico delle organizzazioni dei lavoratori è la loro disunità e mancanza di coordinamento e anche di dialogo. Cerchiamo di analizzare i fatti gettando uno sguardo capace di andare lontano partendo da quanto avvenuto recentemente.

Commuovendosi mentre lo diceva, la ministra dell’agricoltura Teresa Bellanova ha affermato che il “decreto rilancio” contiene una normativa sulla regolarizzazione dei lavoratori migranti che permette agli invisibili di essere “meno invisibili” riferendosi alla massa dei braccianti agricoli costretti a vivere, nel nostro Paese, in condizioni di estrema precarietà e di violazione dei diritti fondamentali.

Alla fine, infatti, il governo ha scelto una soluzione di compromesso che non ha esteso le procedure di regolarizzare la presenza in Italia a tutti i circa 600 mila cittadini stranieri presenti in Italia senza permesso di soggiorno, ma solo alle categorie dei lavoratori agricoli e a quelle di colf e badanti. Una scelta che ha registrato, per quanto riguarda la raccolta ei campi, il parere negativo di Coldiretti che prevede l’impennata dei prezzi se non si andranno a prendere i lavoratori stagionali in Romania e non si introdurrà di nuovo lo strumento del voucher per gli italiani disoccupati (non quindi il contratto stagionale).

Preme sull’intera questione la forte pressione del centro destra che interpreta questi interventi come un progressivo smantellamento dei decreti sicurezza approvati dal Conte 1. Decreti che sembrano incontrare ancora il consenso di larga parte dell’opinione pubblica mentre il mondo dell’associazionismo attento ai diritti umani ne chiede l’abrogazione come segno di reale discontinuità.

Resta il fatto, dunque, che circa 400 mila persone, addette ad altri settori produttivi o comunque presenti in Italia, continuano a restare invisibili, al contrario di quanto richiesto dall’appello dell’Asgi che chiedeva l’emersione per un periodo di un anno non solo per chi è già in qualche modo occupato ma anche per chi u lavoro lo sta cercando.

La mediazione sul permesso a 6 mesi, con l’adozione di procedure da definire, e solo per alcune attività come quelle legate alla fase di raccolta dei prodotti agricoli ha fatto insorgere parte del sindacato che si riconosce nella sigla dell’ Usb fino ad indire il 21 maggio uno sciopero dei braccianti chiedendo ai consumatori di astersi dall’acquisto di frutta e verdura in questo giorno. Il messaggio è stato rilanciato grazie alla forza espositiva di Aboubakar Soumahoro, leader Usb e volto noto sui media. L’accusa diretta al governo è quella di aver agito più per convenienza economica che per una questione di dignità del lavoro.

Hanno un parere diverso altre organizzazioni sindacali come ad esempio la Flai Cgil che con il suo segretario generale, Giovanni Mininni,  riconosce quanto definito del decreto rilancio “un traguardo storico”: «ci riteniamo molto soddisfatti delle misure previste dal provvedimento che potranno consentire di porre finalmente fine alla vergogna italiana dei ghetti con la possibilità di svuotarli grazie ad una accelerazione del Piano Triennale contro il caporalato e ad un lavoro sinergico tra ministero per il Sud e la coesione territoriale, Regioni, Prefetture, Protezione Civile e Croce Rossa».

L’emersione da una condizione di illegalità è, infatti, solo il presupposto per il riconoscimento dei diritti elementari sul luogo del lavoro e uno scudo verso il ricatto delle mafie. Ma sono malpagati e sfruttati anche molti cittadini italiani che devono accettare condizioni umilianti per poter lavorare. Anche i migranti “regolari” che seguono il ciclo delle lavorazioni stagionali sono costretti a vivere in luoghi indegni e degradanti come sono i ghetti. Realtà che potrebbero scomparire, con l’azione diretta, possibile nello stato d’emergenza, utilizzando gli immobili dismessi, pubblici e privati.

È chiaro che gli oneri dell’alloggio dignitoso o dei trasporti in sicurezza rappresentano un onere che lo stato deve prendere in carico, assieme alla luce e all’acqua necessari per migliaia di persone, per motivi di dignità e salute pubblica. Ma sono costi diretti della filiera produttiva che dovrebbero entrare nel prezzo finale che arriva sul banco del mercato assieme alla giusta paga dei braccianti e al reddito dell’impresa agricola.

Lo strumento dello sciopero del consumo rientra nelle forme di boicottaggio che storicamente hanno raggiunto il loro obiettivo quando sono state praticate in massa e verso un obiettivo ben definito. Il cosiddetto “voto con il portafoglio” si può fare quando esiste la possibilità reale di una scelta alternativa, accessibile cioè a chi non ha il portafoglio gonfio di moneta.

L’obiettivo è, dunque, la Distribuzione organizzata che determina larga parte del costo all’ingrosso e quelli al dettaglio. Nella melanzana che si mette in busta bisogna tener conto di quanta parte del prezzo segnato sullo scontrino andrà ai produttori.

Perché resta una questione discriminante da capire: l’attuale sistema, di cui facciamo parte, è inamovibile e quindi chiede il sacrificio dei lavoratori nei campi? Oppure le regole possono cambiare in maniera radicale?  In tal caso dobbiamo deciderci, nella società e in politica, a confrontarci seriamente con i soggetti economici che gestiscono la Gdo, la grande distribuzione organizzata.

Parte significativa di questo mondo ha dichiarato di voler imporre, a partire dal 2021, a tutti i loro fornitori il requisito di appartenenza alla “rete del lavoro agricolo di qualità” prevista dalle legge 199 del 2016 contro il caporalato. Si tratta di una dichiarazione di intenti da parte di Coop, Conad e Federdistribuzione (che raduna anche gruppi come Esselunga e Selex).

Un requisito che dovrebbe essere richiesto, per legge, a tutti per evitare pratiche di concorrenza sleale in un mondo in perenne competizione.

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Spezzare le catene (un lavoro libero tra centri commerciali e caporalato)

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