Braccianti agricoli, la piaga persistente dello sfruttamento

Permane in Italia la grave realtà dello sfruttamento dei braccianti all’interno delle filiere agroalimentari. Dai campi del Foggiano a quelli calabresi della Piana di Gioia Tauro. La denuncia di Medu, Medici per i diritto umani. La necessità di affrontare la questione del sistema dei prezzi deciso dalla Gdo
Braccianti agricoli Calabria Foto Medu

Nonostante i numeri astronomici dei piani di ripresa finanziati dall’Unione europea, in Italia restano in piedi troppi insediamenti irregolari dove si consumano gravi violazioni dei diritti umani. È stata liquidata come una tragedia prevedibile la morte di due bambini nel Foggiano a pochi giorni dal Natale 2021 in un campo cosiddetto rom mettendo in secondo piano una cruda verità e cioè che i genitori dei due piccoli rimasti carbonizzati, cittadini bulgari appartenenti all’Ue, non potevano permettersi un’altra abitazione perché il papà guadagna qualche euro come bracciante agricolo sfruttato nelle filiere dominate dai rapporti di caporalato.

Il piano per le regolarizzazione annunciato nel 2020 va molto a rilento mente come denuncia Luigi Renna, vescovo di Cerignola Ascoli Satriano, e presidente della pastorale sociale nazionale della Cei, «nel Foggiano i ghetti sono troppi e attendono da anni delle soluzioni che ormai da più di un decennio vengono promessi dalle istituzioni, ma poi non si fa assolutamente niente. E ogni tanto abbiamo il dramma con un morto, questa volta i due poveri bambini rom. Sei mesi fa hanno promesso di smantellare il ghetto di Borgo Mezzanone, sostituendolo con abitazioni dignitose. Ma non si è mosso niente altro. Solo delle dichiarazioni».

La realtà ecclesiale non si limita a denunciare ma è tra quelle che cercano di essere presente dentro i contesti umani così pieni di contraddizione. Ed è questa la buona notizia che bisogna saper riconoscere e cioè la capacità di non rimuovere lo sguardo ma di promuovere soluzioni in grado di impedire il ripetersi di tragedie annunciate.

È quello che fa, ad esempio, l’associazione dei Medici per i Diritti Umani (MEDU) che per l’ottavo anno di seguito conferma la presenza della clinica mobile in Calabria per assicurare una presenza sanitaria nelle tendopoli di San Ferdinando, nel campo container di Rosarno e presso i casali abbandonati nel Comune di Taurianova. Una presenza importante davanti al permanere della pandemia da Covid 19 in un’area dove ogni anno arrivano circa due mila braccianti stagionali per la raccolta degli agrumi, quei preziosi frutti ricchi vitamina C che arrivano sulle tavole degli italiani a prezzi stracciati in base alle dinamiche della concorrenza quando non vengono già indirizzati, secondo le stesse dinamiche, all’industria alimentare.

Quest’anno il flusso dei migranti dal Nord Africa è molto più ridotto, circa 600 le presenze complessive, ma le condizioni degli alloggi non sono migliorate come denuncia l’ong sanitaria. La tendopoli di San Ferdinando, ad esempio, che raccoglie circa 300 persone «versa oggi in condizioni drammatiche, in assenza di servizi essenziali quali l’elettricità, l’acqua calda, un servizio di smaltimento rifiuti e di manutenzione dei servizi igienici. Nelle tende, più persone condividono spazi molto limitati e per riscaldarsi accendono fuochi o allestiscono stufe di fortuna alimentate con piccoli generatori o con materiali di risulta, con un elevato rischio di incendi e gravi conseguenze per la salute».

I Medici per i diritti umani chiedono con forza che sia dia effettiva attuazione alle 10 azioni prioritarie previste dal “Piano Triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato (2020-2022)”, elaborato presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali

Un segnale positivo sembra arrivare dall’apertura, a Taurianova, del “villaggio sociale”, finanziato dal Fondo Asilo Migrazione e Integrazione (FAMI) della Commissione Europea ma l’inaugurazione è prevista alla fine della stagione della raccolta e MEDU teme che «in assenza di risorse economiche per la gestione e manutenzione economica del villaggio al termine del progetto, l’esperienza possa tradursi in un’ennesima baraccopoli». È positivo, ad ogni modo, che il villaggio sorgerà su un terreno confiscato alla mafia anche se complessivamente il problema dei ghetti disumani destinati ai braccianti stagionali nasce proprio dalla lentezza nell’assegnazione a fini sociali dei beni sottratti ai mafiosi così come dei tanti edifici pubblici inutilizzati.

Ovviamente si tratterebbe comunque di soluzioni di emergenza perché il vero intervento decisivo, come evidenziato nel testo “Spezzare le catene” pubblicato da Città Nuova, consiste nell’assicurare il giusto compenso ai lavoratori che sono l’anello debole della filiera agroalimentare che parte dai campi per arrivare alla grande distribuzione organizzata. Ogni intervento pubblico, necessario comunque per assicurare un minimo di dignità ai lavoratori sottopagati, diventa altrimenti un costo esternalizzato dai soggetti economici che traggono profitto da un sistema dove la scelta dei consumatori può incidere come presa di consapevolezza di un meccanismo che va cambiato radicalmente dalle fondamenta.

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