“Borderline”, una novità di Città Nuova editrice

Nel mese di maggio Città Nuova ha inaugurato una nuova collana. Borderline. Una serie di libri sui temi più caldi e attuali, di “frontiera”, sui grandi interrogativi di oggi: scienza e fede, new media e società, biotecnologie e umanità, innovazione e buon senso, cultura e bene comune…, trattati con serenità e un linguaggio non specialistico, con l’obiettivo di far confrontare punti di vista differenti. Intervista a Valter Giantin, curatore del primo titolo della collana, Quando finisce la vita?
quando finisce la vita_copertina

Primo titolo della collana Quando finisce la vita? La nutrizione artificiale tra assistenza di base e accanimento terapeutico, a cura di Valter Giantin. Abbiamo posto al curatore alcune domande.

Perché questo interesse sul tema della fine della vita?
«Molte delle decisioni che devo prendere nel mio lavoro – mettere o no un sondino, amputare o no una gamba, ecc.–, hanno una componente etica e di rapporto con la persona ed i suoi valori. Inserire un tubicino per la nutrizione artificiale ad un paziente in avanzato stato di demenza significa a volte decidere della sua vita».

E come si decide?
«Non è semplice, bisogna capire se è una demenza terminale, se il paziente ha lasciato scritto qualcosa, se il contesto familiare aiuta: le varie opzioni vanno analizzate caso per caso».

Rimorsi di coscienza?
«Più che rimorsi, dubbi sì, ed in passato di più. Ora meno, forse perchè la mia formazione professionale (clinico-scientifica e bioetica) è stata lunga: negli anni mi sono dovuto confrontare con vari ambiti, filosofico, etico, legale, statistico, scientifico, e soprattutto conoscere bene le diverse fasi delle malattie (neurologiche e non) che andavo a trattare».

Se c’è una lista di priorità, cosa viene al primo posto?
«Sicuramente la persona, il malato. È necessario verificare se c’è un’indicazione (attuale o pregressa) esplicita da parte del paziente. Il guaio è che, soprattutto con le persone anziane, spesso non c’è niente, soprattutto in forma documentata. Al secondo posto viene lo stato clinico: se il paziente ha un mese di vita è da valutare se vale la pena intervenire con idratazione e alimentazione artificiale. Diverso il caso se ha molti anni davanti: la demenza, infatti, colpisce primariamente la parte cognitiva, cerebrale, mentre il corpo, se ben nutrito, può durare anche venti o trent’anni, e soprattutto all’inizio della malattia, anche in maniera relativamente autonoma».

Perché ha scritto questo libro?
«Il fine vita interroga la coscienza, e le competenze scientifico-mediche non bastano. Qual è il vero bene per quel paziente, quale la decisione giusta? Mi ha sempre interessato conoscere l’idea dell’altro, capire cosa lo spinge a scegliere in quel modo, quale aspetto mi suggerisce di tenere presente nella mia scelta: ritengo che in fondo ad ogni posizione, anche la più ideologica, possa esserci della verità che va messa in luce. Questo mi ha spinto a costruire un libro in cui sono espresse posizioni diverse, anche contrapposte, dall’utilitarista che considera la vita solo finché c’è la possibilità di provare piacere, al personalista che la considera uno dei beni più alti, che va sempre tutelato. E ho imparato che trovare insieme la pista da seguire è possibile».

Il secondo titolo della collana, appena uscito, è dedicato al rapporto tra scienza e fede: Diario di un monaco del XXI secolo, fisico e certosino, di Andrea Carobene.

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

La forte fede degli atei

Mediterraneo di fraternità

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons