Il boom delle birre artigianali

Nell'ultimo decennio la birra prodotta in proprio ha conquistato sempre più estimatori, soprattutto nel Nord Italia

«Mi fa un’artigianale per favore?». È quello che può capitare di sentire, parlando di birra, in qualche pub o birreria – chiamatela all’inglese o all’italiana, come vi pare – nonché in pizzerie o ristoranti. La birra artigianale in Italia ha infatti conosciuto, nell’ultimo decennio, un vero e proprio boom: se nel 2006 nel nostro Paese si contavano 60 microbirrifici e 68 brewpub – ossia locali che producono e vendono la propria birra in loco, generalmente con servizio di ristorazione – secondo l’ultima indagine statistica di Assobirra, nel 2015 si contavano 529 microbirrifici e 145 brewpub, per un totale di 674. Sommando i beerfirm – ossia quei marchi che mettono a punto una o più ricette, ma non possedendo impianto le fanno produrre conto terzi da un altro birrificio – si è superata la soglia psicologica delle mille unità produttive e, dato il ritmo a cui si susseguono le nuove aperture, c’è da credere che questi dati siano ormai superati.

A fare la parte del leone è la Lombardia, con 83 microbirrifici e 26 brewpub; seguita dal Piemonte, con 56 e 16 rispettivamente, dalla Toscana con 53 e 9, e dal Veneto con 37 e 15.

Se contiamo che il primo birrificio artigianale aperto in Italia, Le Baladin di Piozzo (Cuneo), ha da poco festeggiato i vent’anni, si capisce come la crescita sia stata recente ed impetuosa; tanto che l’espressione “birra artigianale” ha finito per essere usata anche al di là del suo significato originario – ossia una birra prodotta in quantità limitate da un mastro birraio secondo le ricette generalmente da lui stesso elaborate, e non filtrata né pastorizzata – per indicare molto genericamente una birra “diversa” da quelle industriali.

Ottobre tempo di birra
Ottobre tempo di birra

Anche il legislatore, sulla scorta delle pressioni da tempo esercitate da associazioni come Unionbirrai e Cna, ne ha preso atto: tanto che lo scorso luglio è stata approvata una legge che definisce birra artigianale quella prodotta da piccoli birrifici indipendenti (ossia non posseduti, in tutto o in parte, da altre società) che non producano più di 200.000 ettolitri l’anno, e non sottoposta a processi di pastorizzazione e di microfiltrazione (che aumentano la conservabilità, ma pregiudicano il mantenimento della rosa di aromi e sapori originali).

Le pressioni per avere una definizione erano in realtà volte ad ottenere un regime di accisa – ossia di tassazione sulla produzione di bevande alcoliche, da cui è esente soltanto il vino – agevolato per i piccoli birrifici: l’Italia ha infatti il poco invidiabile terzo posto in Europa con una media di 36,48 euro ad ettolitro, dietro a Estonia (39,84) e Slovenia (58,08). La riduzione di accisa non è per ora andata in porto, ma si tratta comunque di un primo passo: se non altro perché, anche a livello legale, si è riconosciuta l’esistenza e la specificità di questo comparto.

L’interesse crescente della birra artigianale ha comunque fatto nascere in questi anni un vero e proprio fenomeno culturale. Sono infatti sempre più numerose le associazioni che si propongono – appunto – di “fare cultura” facendo conoscere le diverse tipologie di birra promuovendo degustazioni ed eventi di ogni genere, nonché una cultura del “bere consapevole”; si sono moltiplicati i corsi professionali per sommelier e birrai; sempre più nutrito è il movimento degli homebrewers (coloro che fanno la birra in casa); e ormai non si contano più i festival birrari e i locali specializzati, dove se chiedete semplicemente “una rossa” o “una bionda” vi verrà gentilmente spiegato che sotto il nome “bionda” e “rossa” si celano decine di stili diversi – e non azzardatevi a chiedere una “doppio malto”: quella è solo una dicitura commerciale, non è uno stile.

C’è da dire però che all’esplosione di questi numeri non fa da contraltare un’analoga esplosione dei consumi di birra, che invece rimangono stabili. La produzione totale in Italia è stata di 14 milioni di ettolitri nel 2015 contro i poco meno di 13 del 2006, con i consumi saliti a 18,7 milioni contro 17,3; e i consumi medi pro capite sono addirittura scesi, da 31,1 nel 2007 a 30,8 nel 2015. Stiamo quindi semplicemente spartendo tra più persone una torta che rimane sempre grande uguale, facendo fette più piccole? Pare di sì, ma sono i piccoli birrifici che sembrano ingrandire le proprie a scapito dei grandi. Tra i microbirrifici associati ad Assobirra l’incidenza sul mercato è passata dell’1,5 al 2 per cento negli ultimi tre anni; ma c’è da tenere conto che la grande maggioranza dei piccoli e piccolissimi birrifici sfugge a questa statistica (non essendo affiliato ad alcuna associazione), per cui Unionbirrai stima una percentuale di almeno il 3 per cento, il triplo del 2012. Soprattutto è interessante notare la varietà e la creatività dei birrai artigianali: questi producono infatti nel loro insieme quasi 8 mila birre diverse, mentre quelle industriali si fermano sotto le 200.

C’è quindi mercato per tutti, o siamo destinati ad avere soltanto delle realtà piccolissime che producono per una cerchia di clienti che va poco oltre gli amici finendo per avere un’attività economicamente non sostenibile? Il boom durerà o è destinato a finire –, già infatti stanno iniziando a diminuire le nuove aperture? Domande che gli esperti si pongono già da qualche tempo, e a cui risulta difficile dare una risposta; quel che è certo è che si è innescato, sotto il profilo culturale, un fenomeno che ha segnato e sempre più segnerà il panorama birrario italiano.

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