Bombe italiane nel conflitto dimenticato in Yemen?

La denuncia lanciata da Opal, Rete italiana disarmo e Amnesty international. La guerra colpisce prevalentemente la popolazione civile. Il Governo italiano chiamato ad intervenire per interrompere la fornitura di armi in violazione della legge 185 del 1990

Nel cuore dell’estate 2015, Giorgio Beretta, ricercatore dell’Opal (Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di difesa e sicurezza), redattore di Unimondo e referente della campagna “banche armate”, ha inviato a tutte le fonti di informazione, dettagliati comunicati ufficiali contenenti il risultato di indagini, molto scrupolose, dalle quali risulterebbe l’invio di «bombe e sistemi militari italiani ai Paesi della coalizione guidata dall’Arabia Saudita (con l'appoggio di altri Paesi sunniti della regione) che, per contrastare l’avanzata del movimento sciita zaydita Houthi, sta bombardando lo Yemen da cinque mesi senza alcun mandato o giustificazione internazionale».

 

Beretta ha effettuato ulteriori riscontri sui documenti ufficiali, incrociando i dati disponibili a partire dalle inchieste di Malachy Browne pubblicate sul sito Reported.ly e di Luigi Grimaldi riportate su famigliacrisiana.it .

 

Ora, ad inizio settembre, in un comunicato congiunto firmato da Opal, Amnesty International Italia e la Rete Italiana per il Disarmo (Rid), le tre organizzazioni richiedono l’intervento diretto del Governo italiano volto per interrompere l’invio degli armamenti in un conflitto che «ha finora causato più di 4mila morti e 20mila feriti – di cui circa la metà tra la popolazione civile – provocando una “catastrofe umanitaria” con oltre un milione di sfollati e 21 milioni di persone che necessitano di urgenti aiuti».

 

D’altra parte come già riportato in precedenti analisi presentate in sede parlamentare, risulta che «l’Arabia Saudita insieme ad altri paesi del Medio Oriente è diventata negli ultimi anni tra i maggiori acquirenti dei sistemi militari, tra cui le bombe, “made in Italy”».

 

C’è da ricordare, inoltre che, già i governi di Germania e Svezia hanno sospeso e cancellato importanti contratti militari con l'Arabia Saudita. Stiamo parlando di forniture che dovrebbero  essere immediatamente interrotte dall’Italia in forza della tuttora vigente legge 185 del 1990 che «vieta l’esportazione di materiali di armamento verso i Paesi in stato di conflitto armato, in  contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni» e soprattutto «verso Paesi la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione secondo il quale “'l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”».

 

Come ci tiene a precisare Amnesty international, in un comunicato del 18 agosto 2015, le forze della coalizione a guida saudita «sono del tutto venute meno all'obbligo, previsto dal diritto internazionale umanitario, di prendere le misure necessarie per ridurre al minimo le perdite civili. Gli attacchi indiscriminati che provocano morti e feriti tra i civili costituiscono crimini di guerra» per i quali si richiede che le Nazioni Unite istituiscano una commissione internazionale d’inchiesta.

 

 Amnesty ha svolto una missione di ricerca nello Yemen«a giugno e luglio del 2015 relativamente a otto attacchi aerei compiuti dalla coalizione a guida saudita, in cui sono stati uccisi almeno 141 civili e feriti altri 101, per lo più donne e bambini. Le prove raccolte evidenziano uno schema di bombardamenti contro aree densamente popolate, abitazioni private, una scuola, un mercato e una moschea. Nella maggior parte dei casi, nei pressi dei luoghi colpiti non è stato possibile rinvenire alcun obiettivo militare».

 

Sull’intera vicenda si attende la risposta ufficiale del governo italiano a partire dal ministro degli esteri Paolo Gentiloni.  

 

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