Beni comuni da difendere

Cosa occorre fare per salvare aria, terra e acqua? Beni aggrediti e necessari per la tutela dei diritti della persona? Alcuni elementi emersi dal Festival del Diritto di Piacenza e il contributo di Comunione e Diritto.

Piacenza è una città ideale per un’università diffusa. Ogni cortile interno degli eleganti palazzi del centro sarebbe in grado di ospitare un seminario di studi. Abbondano spazi adeguati a lezioni pubbliche, come a dibattiti che potrebbero rimandare a disputatio dal fascino medievale.

 

In città si alternano ronde disciplinate di poliziotti e soldati che danno il senso di una legalità che sembra trovare il modo per farsi rispettare. Almeno nei confronti degli extracomunitari che hanno superato la soglia del 10 per cento dei residenti e sono maggioranza nell’antico quartiere che avvolge la chiesa di San Savino. Ma il secondo Festival del diritto, oltre alla molteplicità di interventi autorevoli distribuiti da un’efficiente organizzazione, ha posto in evidenza un fenomeno così dirompente che, per ora, nessuna guardia pubblica, anche se armata, è riuscita ad arrestare. Si tratta di un’aggressione continua ai beni comuni come, ad esempio, l’acqua, il territorio, l’aria, etc. Una categoria ignota alle leggi attuali, ma ben presente nel diritto romano.

 

Il titolo del Festival, «pubblico e privato», non ha perciò rimandato ai primi due temibili esami che ogni matricola di Giurisprudenza deve affrontare, ma al superamento di quella divisione tra beni pubblici e privati che, in pratica, ha fatto il gioco di un prevaricante potere economico distruttore delle risorse comuni e quindi dei diritti fondamentali delle persone e delle comunità. La scena infernale dell’alluvione di Messina di questi giorni dimostra cosa vuol dire espropriare un bene di appartenenza collettiva, come il territorio, a favore di soggetti animati solo dalla ricerca di grandi margini di profitto. Come riconoscono molti osservatori, ci troviamo, purtroppo, di fronte ad una pagina tra le tante di una storia nazionale dove il danno arrecato ai beni ambientali, di tutti, è di dominio pubblico ma quasi impossibile da evitare. Risale, infatti, alla frana di Agrigento del 1966 la consapevolezza espressa dalla rivista Urbanistica, dello stesso anno, che denunciava il «cattivo uso del suolo, sotto forma sia di continuativo ed insensato disfacimento di antichi equilibrati ecosistemi naturali, sia di violento e pervicace sfruttamento intensivo del suolo a scopi edificatori».

 

Manca perciò una difesa efficace dei beni che appartengono a tutti noi, ma che non sono definibili come pubblici o privati. Occorre fare un lungo e incompleto elenco per comprendere meglio in cosa consistano tali beni soggetti a rapido impoverimento e distruzione: fiumi, torrenti, laghi e altre acque, aria, parchi, foreste e zone boschive, ghiacciai e nevi perenni, fauna selvatica e flora tutelata, beni archeologici, culturali, ambientali.

 

Una commissione ministeriale nel 2008 ha proposto una modifica del codice civile introducendo accanto ai beni pubblici e privati quelli “comuni”, collocati fuori commercio e tutelati dall’ordinamento giuridico anche a beneficio delle generazioni future. Il professore Stefano Rodotà, direttore del Festival del diritto di Piacenza, è stato il presidente di quella commissione che ha posto la necessità di un governo dei beni comuni non orientato alla generazione di profitti. La manifestazione piacentina non poteva che allargare l’orizzonte agli esiti di una crisi economica che molti vorrebbero archiviare in fretta, senza risalire alle radici per capire che cosa ha permesso un predominio finanziario irresponsabile sulla politica e su ogni regola. 

 

In tale contesto si è collocato il contributo offerto da “Comunione e Diritto” che ha proposto due casi dell’agenda nazionale che mostrano l’urgenza della risposta di una cittadinanza esigente e propositiva a fondamento della convivenza e quindi del diritto. Così la riconquista del territorio in Sicilia dove un quartiere di Gela costruito senza strade, illuminazione e fogne è diventato un’esperienza modello di partecipazione democratica dal basso, capace di riedificare la città, rendendola un luogo ospitale nel rispetto della legalità.

 

La mobilitazione di reti e associazioni attive su Colleferro e la valle del fiume Sacco, a pochi chilometri da Roma, presenta invece lo scenario di un deposito di rifiuti tossici posto al centro della città che ha finito per contaminare suolo e acqua intaccando il ciclo alimentare. Come una nave di residui nocivi abbandonata sulla terra ferma da tutta una classe dirigente che per decenni ha ignorato la responsabilità sociale di impresa.

Quella stessa “bulimia individualistica” che un urbanista come Stefano Boeri ha posto all’origine dei disastri idrogeologici ricorrenti nel nostro Paese.

 

“Comunione e Diritto”, dando voce ad una istanza primaria di recupero del territorio come bene comune, parte – come afferma Gianni Caso – «dalla constatazione delle molteplici fratture che avvengono nei rapporti umani e sociali a tutti i livelli, da quello famigliare fino a quello internazionale», sollecitando «un confronto ineludibile di idee e di comportamenti per un recupero delle ragioni profonde della comunione».

 

La categoria dei beni comuni secondo il disegno di legge della Commissione Rodotà, che ha raccolto il frutto di una lunga elaborazione in campo giuridico, potrebbe perciò rappresentare l’entrata dei principii costituzionali nel testo del codice civile del 1942, riconoscendo e dando tutele a quei beni che sono essenziali all’esercizio condiviso di diritti fondamentali dell’essere umano.

 

La regione Piemonte ad aprile del 2009 ha depositato con consenso unanime una proposta di iniziativa legislativa che riprende le proposte della commissione ministeriale su beni pubblici, privati e comuni. Rimandiamo al sito di “Comunione e Diritto”, www.comunionediritto.org, per conoscere i testi degli interventi al Festival di Piacenza, tra cui un’originale analisi della funzione notarile, e l’approfondimento, sull’attività e le riflessioni teoretiche che operatori e studiosi del diritto, che si riconoscono della spiritualità di comunione del Movimento dei focolari, portano avanti nei più vari contesti nazionali e internazionali.

 

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