Becchetti, ci vuole un green quantitative easing

Secondo l'economista Leonardo Becchetti, non abbiamo, ad oggi, tutte le tecnologie necessarie per arrivare al traguardo di emissioni zero chieste dall’Europa entro il 2050. Ci vorranno ancora più investimenti in ricerca e molte più risorse di quelle attese dal Recovery fund
Becchetti per transizione ecologica LaPresse - Marco Alpozzi

«Siamo in emergenza perché nel mondo si producono più di 52 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente all’anno. Che vanno ad aumentare la concentrazione di CO2 nell’atmosfera, con un effetto che si può paragonare al parabrezza della nostra auto esposta al sole: l’ambiente interno si riscalda fino a condizioni insopportabili se non vi poniamo rimedio. Non c’è altra soluzione, e la cosa è ormai condivisa: dobbiamo arrivare alla neutralità climatica entro il 2050».

Comincia così, in poche parole, l’intervista con Leonardo Becchetti, professore ordinario di Economia politica all’Università di Tor Vergata di Roma, coordinatore del gruppo di studio su economia e sviluppo sostenibile costituito dall’ex ministro dell’Ambiente Giuseppe Costa e consigliere a supporto in vari ambiti a livello interministeriale nel nuovo governo.

Dove intervenire per fronteggiare questa emergenza ambientale?
Sulla produzione di energia, i trasporti, l’agricoltura, l’industria e gli edifici. Per ognuno di questi settori ci sono delle strategie che vanno portate avanti. Non abbiamo, ad oggi, tutte le tecnologie necessarie per arrivare al traguardi di emissioni zero. Ci vorrà ancora più investimento in ricerca e molte più risorse di quelle attese dal Recovery fund.

Deve accadere come con il vaccino, dove si è sviluppata una ricerca globale per arrivare ad un risultato che non esisteva ed era atteso nel lungo termine.  Così, oggi non esiste nella sua completezza il vaccino sul riscaldamento globale perché le tecnologie esistenti non bastano per raggiungere l’obiettivo ambizioso di emissioni zero.

Su cosa può e deve puntare l’Italia?
Sull’efficientamento degli edifici, che spiega l’introduzione del  super ecobonus del 110%. Sulla mobilità sostenibile, a partire dagli autobus elettrici nelle città e  il passaggio all’ibrido e all’elettrico anche per le automobili private. Esiste inoltre il tema della produzione dell’energia rinnovabile che copre al momento solo il 19% del totale di quella che consumiamo. Il settore dove soffriamo di più è quello dell’industria perché i processi di produzione dei beni industriali sono molto energivori. Dobbiamo puntare infine sull’economia circolare, quella che usa non più la materia prima ma la “seconda”: il rifiuto che diventa nuova risorsa.

Gian Mattia D’Alberto/LaPresse

Lei si è occupato come consulente del ministero dell’Ambiente dei sussidi esistenti per le fonti fossili da sostituire con quelli alle rinnovabili. Una partita da 19 miliardi di euro, che ostacoli ha incontrato?
Abbiamo fatto un lavoro interministeriale per il passato governo Conte 2, il quale ha deciso  di non intervenire per via della pandemia e rinviare al 2023  il superamento  degli incentivi ambientalmente dannosi che esistono a favore dell’agricoltura, dei mezzi di trasporto pesanti e dei proprietari delle macchine diesel, obiettivo delle istituzioni internazionali ed oggetto d’intervento in molti altri Paesi. Abbiamo previsto meccanismi compensativi per evitare di colpire i ceti più deboli, che poi si ribellano come avvenuto con i gilet gialli francesi. Per esempio, abbiamo previsto di rimborsare i proprietari di auto diesel che perdevano il sussidio e avevamo lasciato fuori dal provvedimento l’autotrasporto.

Quale intervento è stato da voi promosso?
Una novità importante, condivisa con il Mef, è quella dei BTP verdi che sono stati accolti in maniera straordinaria dagli investitori. Si è registrata una richiesta di potenziali acquirenti pari 80 miliardi di euro contro una offerta di “soli” 8 miliardi di euro. Rappresentano una grande iniezione di fiducia perché si tratta di capitali con attese di interessi molto bassi e scadenza a lungo termine (2045). E’ grazie all’eccellente lavoro della BCE di questi anni che possiamo finanziarci sui mercati a questi tassi

In cosa consistono?
In una raccolta di risparmio sui mercati internazionali orientato a spese e investimenti pubblici su obiettivi ben definiti e verificabili in campo ambientale. Interventi che prevedono l’uso di tecnologie da fonti rinnovabili come ad esempio l’idrogeno verde.

LaPresse – Marco Alpozzi

Eppure la linea che sembra prevalere è quella dell’Eni che spinge per l’idrogeno blu (quello prodotto dal gas)….
In questo momento abbiamo bisogno di tutto, perché non esiste una tecnologia in grado di assicurare al 100% energia dalle rinnovabili. Non siamo ad esempio ancora in grado di avere batterie di accumulazione da energia rinnovabile abbastanza efficienti da colmare i salti di produzione di quel tipo di energia. Perciò è importante investire nella ricerca tecnologica. Le condizioni poste dagli investitori dei Btp, di finanziare cioè solo filiere da idrogeno verde (prodotto dall’elettrolisi dell’acqua), sono un forte incentivo in questo senso.

L’Eni propone, però, il modello Ccs, che catturerebbe l’anidride carbonica prodotta dai gas per stoccarla in giacimenti esausti…
La cattura di CO2 è una delle tecnologie di frontiera ancora non pienamente utilizzabili che, se riuscissimo a fare passi avanti nella ricerca, potrebbe aiutarci a raggiungere l’obiettivo di zero emissioni. Date le attuali tecnologie, al momento ENI può fare molto anche utilizzando il suo patrimonio di conoscenze chimiche per sviluppare le bioplastiche dai rifiuti. Una grande esempio di economia circolare.

Come si può, in così poco tempo, recuperare un divario tecnologico dopo decenni di mancati investimenti?
Ora si tratta di utilizzare i soldi del Recovery plan. Sono risorse importanti ma sempre limitate, che occorre decidere da che parte del piatto si vogliono mettere e che tipo di mix di risorse utilizzare tra grandi investimenti e piccoli incentivi che spostano i comportamenti di milioni di cittadini e piccole imprese.  Per esempio è importante sostenere le realtà dal basso come le comunità energetiche dei cittadini che diventano prosumer cioè produttori e consumatori di energia allo stesso tempo. Un esempio molto interessante è quello in corso a Porto Torres, in Sardegna, con il fotovoltaico sociale promosso dal comune assieme a Gse (società controllata dal ministero dell’economia con il compito di incentivare le fonti rinnovabili).

Quanto all’azione dei grandi player l’Enel sta lavorando sulla infrastrutture per le macchine elettriche e sul miglioramento delle reti elettriche (smart grid), che devono essere molto potenziate se vogliamo usarle per una molteplicità di utilizzi. Questo settore delle comunità energetiche e delle reti elettriche è un esempio dove le complementarietà tra politiche dei grandi attori e per cittadini e imprese sono evidenti.

Non c’è il rischio, in questa fase, di lasciare spazio al greenwashing, cioè ad una verniciatura verde di vecchie politiche estrattive?  Puntare ad esempio sull’idrogeno verde per poi ripiegare su quello blu o grigio?
Non si può scherzare con la Commissione europea perché i criteri di verifica sono molto rigorosi. Questa potrebbe non erogare i fondi in caso di scelte contrarie al green new deal. Resta poi il fatto che le nostre società devono investire nei settori emergenti e del futuro se non vogliono scomparire, con tutti i problemi relativi all’occupazione.

Greenpeace/LaPresse

Come accennato, seppure ingenti, i fondi di Ngeu sono comunque insufficienti per una rapida e radicale conversione ecologica. Dove si trovano, con il ripristino del fiscal compact che è sospeso solo fino al 2022, altre risorse con il nostro enorme debito pubblico?
Mi sembra evidente, e lo dice anche il commissario all’economia Dombrovskis, che non si potrà tornare alla regola del fiscal compact (pareggio di bilancio). Sarebbe un suicidio. Le risorse possono arrivare, come detto, da canali paralleli che nel frattempo abbiamo attivato come i BTP verdi. E poi è evidente che la situazione straordinaria e incerta che stiamo affrontando impone di cercare soluzioni completamente nuove come quella, proposta assieme a 100 economisti, di cancellare il debito che grava sui Paesi colpiti dalla pandemia. Di fatto le banche centrali stanno già cancellando circa un quarto del debito pubblico mondiale

Foto Ap

In che modo?
Pragmaticamente lo sterilizzano: acquistano sul mercato i titoli già emessi di debito pubblico dei Paesi, si impegnano a riacquistare nuovi titoli a scadenza e restituiscono man mano agli stessi Paesi gli interessi maturati sui titoli stessi.  In futuro l’attivismo delle Banche Centrali aumenterà ancora e con politiche nuove come spiega bene Gael Giraud quando parla di green quantitative easing: la Banca centrale europea può fare politica ambientale decidendo di comprare crescenti quote di debito degli stati a condizione di destinarli alla transizione ecologica che richiede enormi investimenti per poter essere realizzata.

Quale ruolo è chiamato a compiere il ministero dei trasporti e infrastrutture per realizzare gli obiettivi del green new deal?
Un ruolo centrale dato che una parte importante del riscaldamento globale dipende dai trasporti: mobilità sostenibile, rete ferroviaria da incrementare assieme agli interventi per rendere verdi i porti e il trasporto aereo. Compito difficile, ma che è nelle corde del ministro Giovannini, promotore dell’alleanza per lo sviluppo sostenibile.

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